“L’antimafia dei fatti” è uno dei tanti slogan promozionali di cui il nostro attuale governo si è di sovente avvalso, il più delle volte per bocca del ministro dell’Interno, Roberto Maroni, il quale ha ricondotto ogni grande arresto e ogni piccolo passo nella lotta alle mafie all’operato del proprio dicastero. Buffa, appare decisamente buffa la scelta del ministro di avocare a sé delle vittorie che invece sono prettamente riconducibili alle attività delle forze dell’ordine e dei magistrati. Un ministro non porta avanti delle indagini, non si apposta per ore sotto casa di presunti delinquenti, non intercetta le loro chiamate e, soprattutto, non mette costantemente in pericolo la propria vita per assicurarli alla giustizia. Eppure anche il governo, in particolar modo il ministero dell’Interno, può avere un ruolo molto importante nella lotta alle mafie, un ruolo prettamente politico, assicurarsi, tramite idonee leggi e provvedimenti amministrativi, che i magistrati e le forze dell’ordine possano continuare la loro importantissima lotta alla criminalità.
Ma, a ben guardare, non sembra che il governo Berlusconi abbia brillantemente adempiuto neanche a questa funzione antimafia. Non si fa guerra alla mafia concependo una nuova legge sulle intercettazioni che, di fatto, impedirà in moltissimi casi ai magistrati il ricorso a questo strumento, importantissimo per la raccolta di informazioni indispensabili per il proseguo delle indagini. Ancor meno si indebolisce la mafia intimidendo collaboratori e testimoni di giustizia, il cavallo di Troia del sistema mafioso. Eppure è stata questa l’ultima trovata del ministro Maroni che, lo scorso dicembre, ha deciso di non prorogare l’atto amministrativo concernente la Commissione per la protezione dei testimoni e dei collaboratori di giustizia, l’organo che si occupava di esaminare le ammissioni e le revoche al programma di protezione previsto.
La soppressione della Commissione in esame e, di conseguenza, del programma di protezione, chiaramente ridurrà drasticamente il numero di persone disposte a collaborare con gli inquirenti nella lotta alla mafia. Senza protezione non ci saranno più né testimoni né collaboratori di giustizia, niente più cittadini onesti che decidano di denunciare le estorsioni dei mafiosi (come Pino Masciari o Ignazio Cutrò), e niente più “pentiti”, una figura certamente più controversa ma che, innegabilmente, in passato ha dato significative svolte alla lotta alla mafia. Le dichiarazioni di Tommaso Buscetta a Giovanni Falcone, per esempio, non solo hanno portato al maxi processo ma hanno rivelato tantissimi particolari dell’organizzazione mafiosa sino ad allora sconosciuti.
Non è più possibile fingere di non vedere ciò che è palese ed è evidente che la scelta del ministro ha le fattezze di un “regalo ai mafiosi”. Un regalo decisamente inaccettabile in un Paese in cui le parole “legge” e “giustizia” abbiano ancora un senso, in uno Stato che voglia proteggere ed aiutare le persone che servono la giustizia, che non voglia farli divenire “eroi usa e getta” facilmente sacrificabili. Gli italiani onesti sono stufi di scappatoie e sotterfugi, non accettano più questa antimafia dei (mis)fatti pretendono che la lotta alla mafia sia condotta seriamente e con l’impegno sinergico di tutti i settori incluso quello politico, sino ad oggi assente ingiustificato.
Anna Serrapelle- ilmegafono.org
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