Ci sono parole che andrebbero pubblicate senza alcun commento, perché sono scritte con il cuore, con la rabbia civile, con quella lucida indignazione di chi da anni combatte perché si affermi la verità, una verità che non appartiene solo alla storia di una famiglia, quella di un uomo ucciso perché cercava di rendere migliore questo Stato, ma appartiene a tutta una nazione, a tutte quelle persone che hanno pianto, urlato, sventolato bandiere, appeso lenzuola bianche ai balconi. Appartiene a tutti coloro che vogliono guardare al futuro credendo nel proprio Paese, ricominciando da un punto fermo: la verità. La verità su tanti punti oscuri della storia italiana, a partire innanzitutto dalle stragi, dai mandanti politici, dai perversi incroci tra Stato, mafia e servizi deviati. E mentre si attende di conoscere ciò che è realmente stato, bisogna intanto iniziare a sgombrare il campo da ogni equivoco, linguistico, concettuale, giuridico su ciò che concerne la vita politica e istituzionale nell’Italia di oggi.
Chi è prescritto, ad esempio, o chi è assolto per l’eccelso lavoro degli avvocati o per l’imperfezione della legge, o chi si vede ridurre le condanne ma non le accuse e le responsabilità, tutti questi vanno chiamati con il loro nome, senza ripescaggi morali, senza riabilitazioni impudiche. E la politica, soprattutto, deve fare la sua parte, deve pulire i vetri del palazzo, renderli trasparenti, moralmente inattaccabili, non con leggi bavaglio o con riforme strumentali della giustizia. Deve farlo concretamente, con le scelte ed i comportamenti. Perché altrimenti gli equivoci serviranno sempre a qualcuno per costruirsi immagini nuove che stonano con la realtà. Questo chiede a gran forza, con parole dirette, vive, intense, Salvatore Borsellino, fratello del magistrato ucciso in via D’Amelio nel 1992.
Le ha scritte in una nota, che adesso offriamo a voi lettori, senza pause, senza commenti, sperando che queste parole possano aiutar qualcuno a comprendere, riflettere, svegliarsi e dunque cambiare: “L’equivoco su cui spesso si gioca è questo: si dice quel politico era vicino ad un mafioso, quel politico è stato accusato di avere interessi convergenti con le organizzazioni mafiose, però la magistratura non lo ha condannato, quindi quel politico è un uomo onesto. E no! Questo discorso non va, perché la magistratura può fare soltanto un accertamento di carattere giudiziale, può dire: beh! Ci sono sospetti, ci sono sospetti anche gravi, ma io non ho la certezza giuridica, giudiziaria che mi consente di dire quest’uomo è mafioso.
Però, siccome dalle indagini sono emersi tanti fatti del genere, altri organi, altri poteri, cioè i politici, le organizzazioni disciplinari delle varie amministrazioni, i consigli comunali o quello che sia, dovevano trarre le dovute conseguenze da certe vicinanze tra politici e mafiosi che non costituivano reato ma rendevano comunque il politico inaffidabile nella gestione della cosa pubblica. Questi giudizi non sono stati tratti perché ci si è nascosti dietro lo schermo della sentenza: questo tizio non è mai stato condannato, quindi è un uomo onesto. Ma dimmi un poco, ma tu non ne conosci di gente che è disonesta, che non è stata mai condannata perché non ci sono le prove per condannarla, però c’è il grosso sospetto che dovrebbe, quantomeno, indurre soprattutto i partiti politici a fare grossa pulizia, non soltanto essere onesti, ma apparire onesti, facendo pulizia al loro interno di tutti coloro che sono raggiunti comunque da episodi o da fatti inquietanti, anche se non costituenti reati?”.
Massimiliano Perna –ilmegafono.org
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