Qui non è Scampia, come se il rione napoletano fosse il marchio di un inferno oltre il quale non si possa andare, la linea di demarcazione tra ciò che è recuperabile e ciò che non lo è, la barriera di piombo e sangue a nord della quale si rivendicano le differenze, si rifiutano gli accostamenti. Eppure un morto ammazzato è sempre un morto ammazzato, sia che finisca faccia a terra sulle strade grigie della periferia nord di Napoli sia che giaccia nel cuore di un’elegante ed affollata via nei dintorni del centro di Milano. Per qualcuno, invece, nel capoluogo lombardo è tutta un’altra storia, si tratta di un caso isolato, di una semplice e crudele punizione legata alla vita delle persone coinvolte, un fatto scioccante, un episodio preoccupante ma non diffuso, perché non potrebbe essere altrimenti, perché qui la mafia non è forte, non ha il controllo del territorio. Ha proprio ragione Marco Granelli, assessore alla sicurezza del Comune di Milano: qui non siamo a Scampia. Lo dice rispondendo alla domanda di una giornalista di Repubblica, lo dice con convinzione e (immagino) in totale buonafede.

Già, perché la criminalità organizzata, nei pensieri di una buona parte dei milanesi e dei lombardi, è roba che appartiene al Sud, a dinamiche lontane, a scenari di degrado che riflettono l’orrore di certi quartieri, di certi gruppi di famiglie che si contendono il potere di un territorio irrecuperabile, ridotto a pezzi, ciascuno dei quali viene spartito al prezzo di sanguinose guerre che lasciano brandelli di carne e di miseria appiccicati sugli occhi impauriti di chi assiste inerme e su quelli infuocati di chi reagisce, si arrabbia, chiede interventi drastici. Sembra tutto lontano, tutto relegato “all’altrove”, a quel mondo che non apparterrà mai alla quotidianità dell’operosa e tranquilla società settentrionale. Ed allora bisogna rimarcarla questa distanza, sottolinearla con decisione, senza riserve, anche quando accade che un uomo e una donna vengano assassinati in mezzo alla folla da due killer che sanno come e quando colpire, freddi, incuranti del fatto che la donna tenga in braccio la figlia di appena 2 anni, miracolosamente illesa.

C’è lo shock, ci sono i brividi per un delitto terribile, compiuto sotto gli occhi di tutti, in una via piena di locali, nella centrale zona di Porta Romana, frequentata dai milanesi amanti dell’aperitivo e della buona cucina. Oltre il trauma non c’è altro, non ci sono prese di coscienza, né ragionamenti o riflessioni su sé stessi. Un caso isolato, un regolamento di conti legato al mondo della droga, ma niente di più. Perfino il termine “narcos” e la dinamica di un’esecuzione in piena regola, inappuntabile nel suo macabro rituale, passano in secondo piano rispetto al “dramma” di un quartiere tranquillo sconvolto dal piombo e dal sangue che chiazza i marciapiedi di norma puliti, solcati ogni giorno dai tanti cittadini che si recano negli uffici e nei locali della zona o che portano a spasso il loro cane. Perché quel che conta è dire che Milano non è Scampia, che la mafia non ha il controllo del territorio, nonostante indagini, processi, inchieste giornalistiche, libri raccontino di una città e di una provincia nel quale, da anni, le mafie hanno messo radici, imposto il pizzo, manovrato appalti, condizionato gli affari ed eseguito intimidazioni, pestaggi, omicidi efferati.

Basta leggere, ad esempio, l’ottimo lavoro di inchiesta svolto dai giornalisti Gianni Barbacetto e Davide Milosa (nel libro “Le mani sulla città”, Ed. Chiarelettere, 2011) per osservare la mappa dettagliata e ripercorrere le tappe della costruzione di un impero che non ha conosciuto e non conosce crisi o freni. Un impero che, fin dagli anni ’80, non ha esitato a sparare per difendersi da eventuali ostacoli o resistenze. Il duplice delitto di Porta Romana non è un caso isolato, non è l’eccezione in una città in cui, appena tre anni fa, una testimone di giustizia, Lea Garofalo, veniva rapita in una zona centrale, uccisa e sciolta nell’acido in un terreno vicino Monza. E non si dica, per minimizzare, che nel caso della coppia freddata in via Muratori si tratta di un fatto diverso legato a qualche vicenda privata dei due nell’ambito di contatti con il mondo della droga, perché anche in questa città la droga è affare delle mafie, italiane o internazionali ma pur sempre organizzazioni criminali, che certo non sparano in questo modo e con queste dinamiche per un semplice sgarro.

Attendiamo le indagini, snobbiamo le idiote strumentalizzazioni di Pdl e Lega (che con la criminalità in questa provincia ci hanno convissuto senza alzare mai la voce), ma evitiamo di minimizzare, spaventati di ammettere che a Milano (così come Napoli, Roma, Reggio Calabria, Palermo, Genova, Bologna, Parma, Catania, ecc.) il potere mafioso è forte e attivo, pienamente infiltrato nell’economia legale e illegale, pronto a difendersi con i mezzi che gli sono più congeniali. Più tempo la gente impiegherà ad aprire gli occhi, più lunga e difficile sarà la battaglia per guarire la propria coscienza da quella ottusa indifferenza che fa tanto comodo a chi comanda e uccide. Anche in questa città.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org