Trecentocinquantacinque specie a rischio. Con i numeri si fa sempre confusione, in una parola, invece, la nostra lingua riassume storie, immagini, suoni. Questo è il problema dei numeri e quando si parla di vita ciò assume sempre una sfumatura particolare. Trecentocinquantacinque sono le specie a rischio nel nostro Paese. I dati provengono da una ricerca condotta da Federparchi e Ministero dell’Ambiente.
La riflessione che scatta di solito in questi casi, fatta salva una comoda indifferenza diffusa, è sempre la stessa: probabilmente l’uomo non sa convivere con la natura. Spesso, purtroppo, l’unico modo per preservare l’ambiente è eliminare la presenza umana, radicalmente, e relegarla a umile spettatore del bello. Relegare l’essere umano ai confini ultimi del paradiso, con indosso un cannocchiale per osservare la Bellezza.
Come è possibile che trecentocinquantacinque specie stiano sparendo? Di chi è la responsabilità? Colpa di eventi passati, presenti e futuri che non fanno che alimentare l’ipotesi che l’uomo sia il più grande pericolo per le specie animali. Basta prendere l’esempio di un luogo incantevole (tra i tanti) come l’isola di Montecristo, nell’arcipelago toscano, con divieto di balneazione in un raggio di un chilometro e visite limitate temporalmente e numericamente.
Qui, fuori dal raggio del braccio meccanico umano, continuano a sopravvivere delle specie ormai uniche come la capra selvatica (Capra aegagrus). Tanti di noi non sanno cosa fare, ma un po’ di sensibilità e una dose di attenzione, a volte, fanno già molto.
Penna Bianca –ilmegafono.org
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