Domenica 30 giugno 2024: il primo turno delle elezioni legislative in Francia racconta che il Rassemblement National di Marine Le Pen e Jordan Bardella, in lizza per la carica di primo ministro, raccoglie attorno a sé il 33% dei consensi. Ha votato quasi il 70% degli aventi diritto, e non è poco. Non è ancora la vittoria schiacciante che la destra, e non solo quella francese, sognava ma è comunque un dato significativo. Il Nuovo Fronte Popolare – che comprende il Partito comunista, i Verdi, la France Insoumise, i Socialisti e il movimento di Place Publique – ha ottenuto il 28%. La partita non è ancora finita, si dovrà attendere il secondo turno in programma domenica 7 luglio. Ma se è vero che il risultato finale non è ancora scritto è altrettanto vero che quanto sta accadendo e potrà ancora accadere in Francia ci riguarda tutti. Perché c’è qualcosa che va oltre il calcolo delle probabilità e delle percentuali, qualcosa di più profondo di quello che gli accordi fra i partiti e le desistenze che fanno parte da sempre della politica possono modificare.

Quel qualcosa ha il colore di un’estrema destra che sta avanzando in gran parte dell’Europa, e su questo tutti dovremmo fermarci a riflettere. Facciamo un passo alla volta: Il sistema elettorale francese è un sistema maggioritario uninominale a doppio turno, e al secondo turno accedono tutti i candidati che al primo turno hanno ottenuto almeno il 12,5% dei voti degli iscritti alle liste del proprio collegio. Difficile sintetizzare in poche righe i meccanismi che assegnano i seggi, più semplice comprendere come sia ancora possibile che il secondo turno possa spostare equilibri che sembrano già scritti ma, come detto qualche riga sopra, questo dipenderà dagli accordi di alleanze, e di desistenza, che i partiti stringeranno fra di loro.

In particolare sarà importante capire come si muoveranno i centristi del presidente Macron, che al primo turno hanno ottenuto il 21% dei voti. Calcoli e accordi difficili da prevedere e da mantenere. Comunque vada, qualcosa di importante sta succedendo in Francia, qualcosa che era nell’aria e che in Italia conosciamo da tempo. Marine Le Pen e Jordan Bardella giocano la loro partita su tutti i fronti possibili, usando il linguaggio caro alle destre di ogni Paese e di ogni latitudine: il nazionalismo, l’attacco frontale agli ultimi e ai migranti, la sicurezza nazionale, la tradizione e le radici cristiane, le tasse e quelle promesse economiche che non potranno mai essere mantenute, ma intanto vengono sbandierate e fanno presa sulla Francia più conservatrice e nostalgica, una Francia più attenta alla politica interna che a quella globale. È una Francia in gran parte spaccata, divisa nelle sue generazioni e nella sua geografia,

Nelle città il Nuovo Fronte Popolare si rafforza, soprattutto a Parigi, che ha visto la grande mobilitazione dei giovani e degli studenti, veri protagonisti del voto a sinistra. Sono invece le vecchie aree industriali e rurali a spostarsi sempre più a destra. È lì, in quei territori che in un passato non lontano erano le roccaforti della sinistra e del Partito comunista francese, che il voto ha premiato il “nuovo” Rassemblement National di Marine Le Pen. La destra avanza anche nelle aree centrali e meridionali della Francia, ad eccezione delle grandi città come Lione e Tolosa.

Ecco allora che il “qualcosa che va oltre il calcolo delle probabilità e delle percentuali” di cui si parlava all’inizio entra con forza in una riflessione cui non ci si può sottrarre. Cosa significa, non solo per la Francia ma per tutta quanta l’Europa e quindi anche per l’Italia, questa destra che un giorno alla volta conquista metri di territorio e di potere? Perché, è inutile negarlo e girarci intorno, è una destra estrema e pericolosa, fascista e razzista. L’Italia questa destra l’ha conosciuta in passato e la conosce ancora oggi. Il nostro Paese ha peccati originali che finge di dimenticare e oggi è governata, ma è più giusto dire comandata, da quella destra che guarda con estrema soddisfazione a quello che accade in Francia. L’antica amicizia e identità di vedute fra la destra italiana e quella francese dovrebbe preoccupare molto di più di quanto in realtà avvenga: sono in tanti, nel nostro Paese, a pensare che l’estrema destra francese sia diversa da quella italiana. Non è così. Qualcuno non vede, o finge di non vedere, quanto esse siano vicine e speculari.

Inutile e paradossale provare a cercare le differenze, pensare che la Lega di Matteo Salvini sia più vicina a Marine Le Pen rispetto a Giorgia Meloni e ai suoi Fratelli d’Italia. La galassia di destra in Europa è connotata dalla presenza di voci che solo in apparenza sembrano diverse fra loro, ma nella sostanza sono portatrici di un messaggio che diventa univoco e si rivolge ai tanti cittadini europei che hanno fatto della visione xenofoba, razzista e nazionalista, il proprio credo. Il governo italiano di Giorgia Meloni ha già disegnato con precisione un quadro che ignora i principi delle garanzie democratiche: lo ha fatto sull’immigrazione, dove ai lager di Stato dei CPR si è aggiunta l’esternalizzazione della gestione dei migranti. Lo ha fatto e lo sta facendo con la repressione del dissenso interno, attraverso leggi e decreti che assegnano un margine di potere sempre più ampio alle forze di polizia e con il controllo sempre più soffocante dell’informazione e della cultura, minacciando, a volte velatamente e sempre più spesso apertamente, la libertà di stampa.

Lo ha fatto e lo sta facendo garantendo l’agibilità politica a quella matrice fascista che è nel DNA del partito di governo. Lo fa con proposta di un “premierato” che possa assicurare il controllo di tutto nelle mani di un solo “capo”. Questa è la destra italiana, ed è già al governo da quasi due anni: è la destra di Giorgia Meloni, che lascia ai suoi elementi, solo apparentemente di secondo piano, il compito di mostrare la faccia dura, cattiva, di fronte al Paese. I suoi ministri e il suo vicepresidente del Consiglio accettano volentieri il gioco delle parti: è il ministro degli Interni a dire che i migranti muoiono in mare per colpa loro perché non dovevano partire. È sempre lo stesso ministro che difende l’uso dei manganelli nelle piazze contro gli studenti, ed è ancora quel ministro a sostenere che il vero antisemitismo è quello di chi scende nelle piazze in sostegno di Gaza e della Palestina e non quello dei giovani che inneggiano al fascismo e al nazismo nelle sedi di partito.

Accanto a lui c’è chi continua a seminare odio e bugie, chi candida generali nostalgici del passato e della “decima”. Altri ministri, intanto, preparano riforme della giustizia e lanciano macigni contro quella parte di magistratura che non è allineata con la narrazione ufficiale del governo. Lei, Giorgia Meloni, osserva ed entra in campo subito dopo con il volto di chi, stupito dalle inchieste giornalistiche, interroga il Presidente della Repubblica su cosa è legittimo. Il confine tra una democrazia, anche imperfetta, e uno Stato autoritario è un processo lungo e si realizza un passo alla volta. Il successo, probabile ma non ancora compiuto, del Rassemblement National di Marine Le Pen in Francia sarebbe un passo verso questa direzione, una destra in più alla guida di un grande Paese europeo, in grado di spostare molti equilibri. Quello che dovrebbe essere chiaro, in Francia come in Italia e nell’Europa tutta, è come l’ambizione comune di queste destre sia la sconfitta finale di quello che rimane del concetto di democrazia e di società, e il successo del progetto di ripristinare le antiche gerarchie: la razza e la classe sociale. Questo è il vero sogno delle politiche neoliberiste così vicine e amiche delle destre di ogni epoca e di ogni latitudine.

C’è, però, anche un segnale significativo che arriva dalla Francia: quello di una sinistra che ha provato e saputo unirsi con un fronte e un programma comune, e in questo i giovani di Parigi sono stati la dimostrazione che l’antifascismo è il bene comune da coltivare. È un’assunzione di responsabilità che chiede e merita rispetto e mette tutti davanti ad un dato di fatto che nessuno può negare: la storia insegna che l’antifascismo non è un compito che spetta solo ai partiti, ai movimenti e agli elettori di sinistra, ma è un’idea di vita che deve unire e che spetta a tutti. Questo vale in Francia, in Italia e in ogni angolo del mondo. Molti hanno dimenticato la lezione di storia che la Resistenza partigiana contro il nazifascismo nel Novecento ha regalato all’Italia, alla Francia, all’Europa tutta. Il nostro Paese ha dimenticato quella lezione, ha ignorato per decenni la tela di ragno che stava avvolgendo la sua casa. Il 7 luglio sapremo se la Francia saprà scegliere un’altra strada, migliore e più degna. Il Novecento è passato, qualcuno lo ha definito il secolo breve, ma è stato un secolo che è passato sulla storia come una tempesta che ha distrutto ogni raccolto. Una tempesta che non può e non deve tornare.

Maurizio Anelli -ilmegafono.org