Per giorni in Italia si è parlato di un possibile intervento armato in Libia, dopo che a metà febbraio scorso sono iniziati i primi raid aerei dell’Egitto. Il Cairo ha deciso di ordinare i bombardamenti contro le postazioni dello Stato islamico in Libia dopo la diffusione di un video che mostrava la decapitazione di 21 cittadini copti egiziani ad opera di sedicenti membri del gruppo jihadista. I raid sono stati poi interrotti. Il conflitto in Libia ora è passato in secondo piano sulle prime pagine dei quotidiani italiani, attenti soprattutto ai riflessi interni dell’immigrazione di migliaia di richiedenti asilo dai paesi africani e mediorientali. Nel paese magrebino, invece, continuano gli scontri, le uccisioni, le esecuzioni e le violenze, mentre in Marocco è in corso in questi giorni un importante dialogo nazionale interlibico, mediato dall’Onu, per trovare una soluzione “negoziata” al conflitto.

La speranza è che le parti in lotta trovino un accordo per limitare l’influenza jihadista nel paese e l’Italia in queste trattative potrebbe giocare un ruolo importante. Sin dall’era di Muhammar Gheddafi, infatti, Roma ha intrattenuto rapporti amichevoli con il paese africano, dove sono custodite riserve di idrocarburi estremamente importanti per noi e per l’Europa. Dall’imbarazzante “simpatia” tra Gheddafi e l’ex presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, si è passati a un dialogo “discreto” tra le autorità italiane e tutte le parti del conflitto nella Libia attuale, dove esistono due governi e due parlamenti.

Secondo alcune fonti, sia i membri del Congresso nazionale di Tripoli (assemblea non riconosciuta dalla comunità internazionale che rappresenta le tribù islamiste e gode del sostegno delle milizie note come “Alba della Libia”), sia quelli della Camera dei rappresentanti di Tobruk (il parlamento sostenuto dall’esercito regolare e riconosciuto da tutta la comunità internazionale) avrebbero contatti con i paesi europei, tra cui l’Italia.

Per ora il dialogo nazionale in corso a Skhirat, nei pressi della capitale marocchina Rabat, ha dato alcuni frutti: è stata concordata la possibile formazione di un “governo di unità nazionale” con un premier indipendente che non appartenga ad alcuna delle due parti e possa garantire al paese un’interruzione delle ostilità, prima che sia troppo tardi. Allo stesso modo è stato sottoscritto ad Algeri, nell’ambito di un altro dialogo interlibico promosso dall’Algeria, con il sostegno dei paesi arabi ed europei, un documento per una riconciliazione tra le parti in lotta.

Le forze politiche libiche presenti ad Algeri hanno espresso il loro impegno a raggiungere un accordo sulla formazione di un governo di unità nazionale in grado di garantire un cessate il fuoco e il ritiro dei gruppi armati da tutte le città. Ad Algeri non erano presenti però esponenti del gruppo di milizie noto come Alba della Libia.

Nel frattempo, nel paese crescono i problemi legati alla mancanza di sicurezza. Da mesi i militanti fedeli allo Stato Islamico stanno sfruttando il caos per imporre la loro presenza. A gennaio i jihadisti, la cui base principale è a Derna, nel nord-est del paese, hanno rivendicato l’attacco contro l’hotel “Corinthia” a Tripoli, costato la vita a nove persone, fra cui cinque stranieri. Nello stesso mese a Sirte è avvenuta l’esecuzione di massa dei 21 cittadini egiziani di fede copta.

Questa settimana sono state diffuse invece le immagini della distruzione di un tempio sufi a colpi di martello e con i bulldozer. In Libia, come negli altri paesi dove è attivo lo Stato islamico, è un intero patrimonio umano e culturale ad essere minacciato. Il direttore generale dell’Unesco, Irina Bokova, preoccupata della situazione di instabilità del paese ha lanciato un appello recentemente. “Il patrimonio della Libia – ha dichiarato – rappresenta l’espressione di una memoria condivisa del paese, e il suo rispetto rappresenta una pietra miliare per una lunga riconciliazione nazionale duratura”.

G.L. -ilmegafono.org