Dopo la sua elezione al Parlamento europeo, Ilaria Salis è stata duramente attaccata dai giornali amici compiacenti della destra, e non solo. L’attacco è partito dai quotidiani “Libero” e “Il Giornale”, che hanno pubblicato in prima pagina una serie di articoli sul suo presunto debito di 90mila euro nei confronti di ALER – l’azienda lombarda per l’edilizia residenziale – dovuto ad una morosità su un immobile di meno di 40 metri quadri in zona Navigli, a Milano. I due quotidiani affermano anche che la Salis avrebbe ricevuto quattro condanne per resistenza a pubblico ufficiale durante uno sgombero. Ilaria Salis, attraverso i suoi canali social, ha risposto a queste accuse con estrema franchezza e grande dignità: “Sì, lo confesso! Sono stata una militante del Movimento di Lotta per la Casa che negli anni ha dato battaglia sul tema del diritto all’abitare, a Milano e in tutta Italia. Se qualcuno pensava di fare chissà quale scoop scavando nel mio passato, è solo perché è sideralmente lontano dalla realtà sociale di tale movimento, che si compone di decine di migliaia di abitanti delle case popolari e attivisti, i quali, per aver affermato il semplice principio di avere un tetto sulla testa, sono incappati in qualche denuncia”.
“Le pratiche collettive dell’occupazione di case sfitte, il blocco degli sfratti, la resistenza agli sgomberi, gli sportelli di ascolto e la lotta per la sanatoria – continua Salis – rappresentano un’alternativa reale e immediata all’isolamento sociale e alla guerra tra poveri, strumentalizzate tanto dalle forze politiche razziste quanto dal racket. Dare una risposta immediata al bisogno dell’abitare non solo significa fornire una soluzione a una questione lasciata irrisolta dalla politica istituzionale, ma anche indicare una prospettiva politica di trasformazione delle condizioni materiali di vita nel segno della giustizia sociale”. “Come è stato ampiamente sbandierato sui media di destra – conclude la neo eurodeputata di AVS -, Aler reclama un credito di 90.000 euro nei miei confronti come ‘indennità’ per la presunta occupazione di una casa in via Giosuè Borsi a Milano, basandosi esclusivamente sul fatto che nel 2008 sono stata trovata al suo interno…Ringrazio Libero & co. per avermi servito questo assist per riportare l’attenzione mediatica su un tema che mi sta molto a cuore, perché così cruciale per le classi popolari e per i giovani”.
Quanto è ipocrita questo Paese. Quotidiani come “Libero” e “Il Giornale” sono puntuali nell’attaccare chiunque prenda una posizione diversa dal silenzio e dalla connivenza con un sistema e con un modello di società che divide e costruisce muri. E il “modello Milano” è parte anch’esso di questo sistema. Milano, la città dai due volti. Da una parte, mostra compiaciuta il suo vestito elegante: il quartiere operaio e popolare di un tempo ha ceduto il posto ai palazzi signorili con i boschi verticali; le vetrine del triangolo della moda e del lusso, della “movida”, e quei salotti buoni di una borghesia che ancora si specchia in se stessa. Poi c’è un’altra Milano, dove la vita corre ad un’altra velocita, ai margini della narrazione che racconta la sua capitale economica senza guardare dentro ogni suo angolo nascosto. Periferie, ma non solo. Una città nella città, ai margini e sempre più a rischio. È dentro questi margini, questi confini, che vive e sopravvive una parte sempre più consistente di umanità che, prima di ogni cosa, deve fare i conti con quella che viene chiamata “emergenza abitativa”.
Ma un’emergenza è tale quando si verifica improvvisamente per motivi inaspettati, appunto improvvisi. Quando invece diventa una costante, che si protrae e si aggrava nel tempo, allora non è più un’emergenza ma diventa un imperdonabile scandalo che le istituzioni, l’amministrazione comunale e quella regionale, non hanno saputo o voluto gestire nel corso degli anni. Il poter vivere in una casa è un diritto fondamentale, di libertà e di dignità civile. A Milano, come anche in altre città del Paese, questo diritto è diventato un privilegio per molti, mentre per le fasce sociali più deboli è ormai un autentico miraggio.
La città ha scelto altre strade, altri modelli: operazioni immobiliari spericolate, ma che attirano capitali, quartieri che diventano simboli di una grandezza miope e fasulla e che hanno fatto saltare quell’equilibrio che rende viva una città. Il concetto di “case popolari” è stato ucciso da scelte folli di una politica incapace di restituire dignità e significato al concetto stesso. A Milano esistono decine di migliaia di alloggi popolari gestiti da ALER (Regione Lombardia) e MM (Comune di Milano). Solo dal 2014, le case popolari di Milano sono affidate a due diversi gestori, fino a quella data era la sola ALER a gestire il tutto. Sono oltre 150mila le persone che vi abitano, ma sono tantissimi gli alloggi sfitti. Molti sono inagibili, fatiscenti e in attesa di ristrutturazione, molti devono essere assegnati e altrettanti sono in vendita per fare cassa. È qui che esplode la contraddizione: le case popolari sono, e devono essere, un bene per chi una casa non può permettersi di comprarla e per chi non è in grado di pagare un affitto ai prezzi di mercato, e a Milano quei prezzi sono proibitivi. Il risultato finale è che ci sono tanti inquilini senza case e tante case senza inquilini.
Il diritto ad un alloggio popolare diventa allora, per molti, una missione impossibile, una lunga battaglia contro i mulini a vento della burocrazia e della politica, ma non solo, perché a questi vecchi mulini si aggiunge un altro elemento: il racket, appunto. Il problema casa, soprattutto nei quartieri più degradati e abbandonati a se stessi, è terreno fertile per tutte le mafie. ALER è assente nei suoi territori più difficili, e questo ha fatto di quei territori una “terra di nessuno” dove altri decidono chi deve entrare in quegli alloggi. È a fronte delle vere “occupazioni abusive”, della mancanza di reali e oggettivi criteri di assegnazione, che nascono le altre occupazioni, quelle che, come ribadisce Ilaria Salis, “rappresentano un’alternativa reale e immediata all’isolamento sociale e alla guerra tra poveri, strumentalizzate tanto dalle forze politiche razziste quanto dal racket”.
Il sottobosco attorno ad ALER è però una storia antica, non nasce certamente oggi: già nel 2012, le inchieste giudiziarie sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta portavano ALER al centro delle cronache. Le migliaia di famiglie in attesa di un’assegnazione nelle graduatorie, le migliaia di case popolari vuote e lasciate al degrado, l’immobilismo delle istituzioni, sono il vero problema di cui però non si preoccupano i grandi accusatori di Ilaria Salis. I sindacati inquilini di Milano – Unione Inquilini, Sicet, Sunia, Asia e Conia – hanno lanciato un appello che è un vero atto d’accusa rivolto all’amministrazione della città: “Case popolari: i fondi immobiliari sono un problema non la soluzione”. In quella Milano che corre ad una velocità diversa da quella dei grattaceli e del lusso, vivono famiglie in condizioni di povertà quasi assoluta. In quei quartieri di case popolari esistono anche piccoli spazi di impegno sociale e culturale e che davvero rappresentano la sola alternativa all’isolamento sociale e alla guerra tra poveri.
Milano non è solo il Duomo, Brera e via della Spiga. Milano non è solo moda e affari. La città è anche altro, è anche quella che lotta quasi in solitudine per uscire dal ghetto e dal confine in cui il “modello Milano” l’ha rinchiusa. Quel modello è il risultato di un’operazione di marketing che ha sfregiato e privatizzato la città pubblica, ed è un modello falso e fallimentare. Non stupisce allora che i giornali della destra attacchino Ilaria Salis. Possiamo solo ricordare che, come dice Salis, “essere occupanti vuol dire essere trattati come criminali per aver cercato di vivere in modo dignitoso. Tutti e tutte dobbiamo avere un tetto sulla testa, e non sempre le azioni legittime sono legali in quel dato momento: servono a cambiare le leggi, prendendo in considerazione le istanze dei gruppi subalterni”.
Le lotte per le case popolari, le occupazioni e la disobbedienza civile nei quartieri lasciati soli nella città di Milano hanno il volto di una donna straordinaria di 94 anni: Franca Caffa. Volto storico della sinistra milanese, ha fondato il Comitato Inquilini del suo quartiere, il Molise-Calvairate-Ponti. Lotta da una vita nel suo quartiere, ostinata e tenace. Da sempre denuncia l’abbandono di chi vive ai margini della Milano che luccica. Libero e Il Giornale hanno qualcosa da contestare anche a lei? Una cosa ancora però è doveroso ricordare ai direttori di questi giornali, al loro editore e ai loro lettori: nel gennaio del 2023, il movimento di estrema destra CasaPound festeggiava il ventesimo compleanno di occupazione dell’immobile di proprietà pubblica, al civico 8 di via Napoleone III, a due passi dalla stazione Termini di Roma, esponendo lo striscione “2003-2023. Vent’anni a testa alta!”. Se qualcuno ricorda accuse a CasaPound da parte di Libero, il Giornale, se qualcuno ricorda richiami e rimproveri da parte di esponenti politici di governo…alzi la mano.
Maurizio Anelli -ilmegafono.org
E come non potrei essere d’accordo ,ho votato I. Salis e ho vissuto più di 30 anni a Milano .