In simultanea, a Hiroshima in Giappone e a Xi’an in Cina, si sono tenuti due incontri di importanza globale: il G7 e il vertice tra Cina e Paesi asiatici ex sovietici. Da una parte, il vecchio club delle potenze occidentali, risalente agli anni ‘70 e di fatto superato già nel 1999, con la nascita del G20; dall’altra i nuovi alleati di uno dei pochi vincitori certi della guerra russo-ucraina: la Cina. A Hiroshima in pratica si è celebrato un vertice della NATO, viste le agende e le posizioni dei partecipanti, tutte uguali. Tanta Ucraina, ma anche Taiwan e Palestina, con un breve accenno al cambiamento climatico, in coda alle altre questioni. A Xi’an, antica capitale cinese, i leader di Cina, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan hanno parlato di affari, ma anche di nuovi equilibri. La Cina, che sta investendo da tempo in Asia centrale, regione chiave per il passaggio della Nuova Via della Seta, ha deciso di rilanciare promettendo 4 miliardi di dollari di sostegni finanziari e sovvenzioni a questi Paesi, ora lo si può dire, usciti dall’orbita russa: la firma della Dichiarazione di Xi’an infatti, sancisce in sostanza il loro ingresso stabile nell’orbita di Pechino.
Non sono mai stati rapporti facili quelli tra la Cina e questi suoi vicini, soprattutto per via della situazione degli Uiguri dello Xinjiang, minoranza musulmana e turcofona perseguitata e “rieducata” dallo Stato cinese. Ma in questi anni la Cina ha saputo trasformare i problemi in risorse, a differenza dei partecipanti al club del G7 che, non avendo più la forza per cambiare le cose, finiscono per trasformare le potenzialità in problemi. Basti pensare all’Africa: grande opportunità per la Cina, solo un problema per l’Europa. L’agenda di Hiroshima è infatti un cahier de doléances senza speranza. Non si annuncia nessuna azione per fare fronte alle questioni che veramente preoccupano tutti, come il cambiamento climatico, la gestione delle migrazioni, il debito pubblico in crescita ovunque, le prospettive di pace per l’Ucraina.
Nel frattempo, la Cina non soltanto si è impegnata a investire e a fare da piattaforma per il rilancio del gruppo dei Paesi ex sovietici dell’Asia, ma ha anche proposto un patto per la sicurezza regionale che ha tra i suoi pilastri il rispetto delle diverse orbite geopolitiche. Ciò che, ad esempio, in passato non è stato fatto tra l’Unione Europea e la Russia. Si tratta di approcci diversi alle relazioni internazionali: in un caso, pesa come un macigno il passato imperiale e coloniale, ormai definitivamente sfumato; nell’altro, emerge il pragmatismo di chi sa che per rafforzarsi deve volare basso, e che di fronte a sé non ha veri antagonisti bensì ricchi clienti, Paesi che spesso diffidano di Pechino ma che non possono farne a meno, avendo trasferito in Cina la loro capacità produttiva, accumulata fin dagli albori della rivoluzione industriale.
Nel complesso, Hiroshima e Xi’an sono due facce della stessa moneta, quella della globalizzazione. Da un lato c’è la paura di non “contare” più come un tempo, abbinata all’incapacità di superare l’arroganza del passato; dall’altra la visione a lungo termine e l’atteggiamento più modesto del tessitore che, metodicamente e senza esaltarsi, porta a casa un risultato dietro l’altro. Perché non ha da vendere solo retorica ma affari concreti, e in definitiva è già diventato un pilastro del nuovo ordine mondiale che sta prendendo forma.
Alfredo Luis Somoza -ilmegafono.org
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