Un gesto isolato, o meglio un gesto che non ha nulla a che fare con la mafia e con il crimine organizzato. Questo è quanto emerge a Brindisi, dopo l’arresto dell’uomo che ha fatto esplodere le bombole di gas davanti alla scuola “Falcone-Morvillo”, causando la morte della giovane Melissa Bassi. Movente ancora poco chiaro, così come ancora oscura è l’identità di presunti complici. Resta il fatto che la mafia non c’entra nulla. E forse qualcuno si sta mordendo le mani, perché nelle prime ore sembrava quasi sperarci in un coinvolgimento dei clan, nel sorgere di una nuova offensiva stragista. Proprio così, perché l’oscenità delle ore successive all’attentato è stata la passerella di chi ha immediatamente pensato di sfruttare a proprio vantaggio la situazione, trasformandosi in burattino di quella parte dell’antimafia che nella retorica ci sguazza, forzando gli eventi pur essendo consapevole, almeno si spera, che quella forzatura è insensata.

Sì, perché chi ha un minimo di competenza e conoscenza del fenomeno mafioso si è immediatamente accorto di alcune incongruenze, di circostanze insolite. Non soltanto le modalità e il tipo di esplosivo scelto, quanto piuttosto l’illogicità di un attentato di tal genere, davanti ad una scuola di una provincia pugliese, in un momento in cui, grazie alla crisi, i clan prosperano e si ingozzano nel silenzio dell’inabissamento, limitandosi eventualmente, per garantirsi il controllo del territorio, a quelle attività di “routine” (incendi di autovetture o negozi, lettere intimidatorie, ecc.) che ormai, purtroppo, non fanno più notizia, almeno non a tal punto da spingere lo Stato ad aumentare il livello di pressione e di presenza sul territorio.

Un atto così grave, una bomba che ha come bersaglio delle ragazzine di una scuola, in un luogo lontano da teatri “più mediatici” quali Palermo, Reggio Calabria, Napoli, Roma o Milano, ha un duplice effetto: provocare una reazione nella gente del luogo (e ciò significa perdere consenso e indebolire il controllo) e soprattutto una reazione dello Stato, che risponde, invia uomini sul posto, esercita un’azione che comincia a diventare asfissiante e che rende meno facili e tranquilli gli affari loschi. Tutti elementi che erano chiari sin dall’inizio e che avevano portato tanti addetti ai lavori, come il giudice calabrese Gratteri, ad esprimere perplessità notevoli sulla pista mafiosa. Eppure in tanti hanno fatto finta di non sentire, si sono lanciati in proclami, hanno organizzato iniziative contro la mafia (che in ogni caso, va detto, sono sempre utili), hanno invaso le tv improvvisando programmi di approfondimento privi di persone dotate di un minimo di competenza.

Insomma, si è cercato per giorni di attribuire ad un evento, su cui la magistratura, con grande accortezza e serietà, stava ancora indagando, una precisa connotazione, anche se non vi erano molti elementi ad avvalorare la tesi. L’Italia della retorica senza pensieri e senza logiche si è così scatenata dimenticando qualsiasi prudenza, come se avesse bisogno di coagularsi di fronte ad un nemico comune che da anni si vede poco, vive nell’ombra e si insinua nelle falle dei palazzi del potere, dove si muovono personaggi dai curricula ricchi di sospetti e di inquietanti zone grigie. La figura però è stata pessima e gli effetti perversi. Perché un atteggiamento del genere, una tale imprudenza fa esattamente il gioco della mafia, la cui estraneità al caso specifico viene vista in alcuni ambienti con un alone quasi “romantico” che in realtà non le appartiene per niente.

Perché si dice che la mafia non farebbe mai una cosa del genere, perché si leggono dichiarazioni di capi clan della Sacra Corona Unita che dalle carceri affermano di non entrarci nulla e che loro non farebbero mai un attentato ad una scuola. E ci sono substrati popolari che si sentono quasi sollevati da questa non colpevolezza dei boss a cui magari quotidianamente baciano le mani o pagano il pizzo. Il danno però è fatto, un danno che è quasi impercettibile ma che in realtà mostra uno squarcio profondo, pericoloso, infetto.

Le passerelle, la retorica, l’esposizione vuota, tutto questo ha un prezzo ed irrita, colpisce allo stomaco, poiché distrugge il lavoro che, sul territorio, altri fanno ogni giorno, sporcandosi le mani nei quartieri e nelle aree a rischio, piuttosto che andare di continuo in tv, riempire le redazioni dei giornali di comunicati o organizzare improvvisi presìdi. Brindisi ha fornito l’ennesima lezione a chi pensa che la mafia sia un gioco o un terreno rispetto a cui costruirsi una “carriera”. Sul fatto che questa lezione tutti l’abbiano imparata, rimane sinceramente qualche dubbio.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org