“‘La mafia è una montagna di merda’, disse Peppino Impastato. Ma forse è molto meno di quello: la mafia è il niente, il niente che si organizza per derubare e tenere sotto schiaffo chiunque sia qualcosa, faccia qualcosa, produca qualcosa. La mafia è la dittatura degli incapaci”, scrive Michele Serra. Ripensando alla frase di Serra, mentre si avvicina il 21 marzo, Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, non si può non ricordare un giovane poliziotto e agente segreto, nato a Palermo nel 1960 e assassinato da cosa nostra, in circostanze mai chiarite del tutto, nel 1990. Si chiamava Emanuele Piazza. Egli scomparse dalla sua abitazione di Palermo, in località Sferracavallo, il 16 marzo 1990. Il suo corpo non è mai stato ritrovato.
Emanuele aveva cominciato la sua carriera presso la scuola allievi della Polizia di Stato di Alessandria, poi trasferito alla scuola allievi di Roma. Venne assegnato all’Ispettorato Quirinale servizio scorta dell’allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini, per poi passare alla Criminalpol della Questura di Roma. Dopo qualche tempo entrò nel SISDE come agente dei servizi segreti italiani, occupandosi della ricerca di pericolosi latitanti. Il giorno seguente la sua scomparsa avrebbe dovuto partecipare alla festa di compleanno del padre Giustino, ma Emanuele non arriverà mai. Allarmati, il papà ed il fratello Andrea si recarono nell’abitazione del loro congiunto riscontrando la sua assenza, notando in cucina la preparazione della pasta cotta ed una scatola di cibo per il suo cane.
Il giorno successivo il padre, Giustino Piazza, noto avvocato, accompagnato dal fratello Andrea, presenteranno denuncia di scomparsa presso la Squadra mobile di Palermo. Nonostante le richieste e sollecitazioni del padre, da quel momento amici e referenti di Emanuele Piazza cominciano ad alzare un muro di silenzio sui loro rapporti, arrivando persino a negare che lavorasse per i servizi segreti. Fino a quando il Procuratore della Repubblica Aggiunto, Giovanni Falcone, dopo molteplici smentite, acquisisce ufficiale conferma dal direttore del Servizio per le informazioni e la sicurezza democratica, Riccardo Malpica, che Piazza fosse stato assunto come agente in prova: era il 22 settembre del 1990. La notizia della scomparsa di Emanuele Piazza venne pubblicata a distanza di sei mesi e il primo articolo fu pubblicato dal giornalista del quotidiano la Repubblica, Francesco Viviano.
Del caso si occupò anche la trasmissione televisiva Chi l’ha visto? La ricostruzione dei fatti avvenne grazie alle rivelazioni di due collaboratori di giustizia Giovan Battista Ferrante e Francesco Onorato: quest’ultimo peraltro era il suo stesso assassino. Il 16 marzo Emanuele venne attirato fuori dalla sua abitazione da Onorato, ex pugile e suo vecchio compagno di palestra, con la scusa di cambiare un assegno in un negozio di mobili di Capaci (a pochi minuti di distanza da Sferracavallo). Onorato condusse Piazza in uno scantinato dove l’agente venne strangolato. Strangolato e poi fatto sparire. In seguito, il suo cadavere venne sciolto nell’acido in un casolare della campagna di Capaci, a poche centinaia di metri dal luogo dove nel 1992 troverà la morte lo stesso giudice Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta Schifani, Dicillo e Montinaro.
Chi ha un po’ di memoria storica, trova molte similitudini con la scomparsa e l’omicidio del giornalista del quotidiano “L’Ora” di Palermo, Mauro De Mauro. Il giornalista che aveva detto: “Ho uno scoop che farà tremare l’Italia”. Emanuele Piazza non era un giornalista, ma con il suo lavoro, con il suo fare, col suo “essere” era riuscito a fare arrestare alcuni latitanti ed era diventato troppo scomodo. Una nebbia di mistero ha avvolto la vicenda fino al 2000 e la nebbia, per dirla alla Sherlock Holmes, “per l’assassino è come la giungla per la tigre”. Solo dopo le dichiarazioni di due “pentiti” sono emersi i primi spiragli di verità che hanno consentito, almeno in parte, la ricostruzione dell’omicidio.
Silenzio, omertà, collusioni e depistaggi hanno caratterizzato le indagini e la ricerca della giustizia per un giovane uomo di appena trent’anni, un agente troppo scomodo per cosa nostra palermitana, ma anche per i corleonesi; un uomo che pochi conoscono, che poco viene ricordato, la cui memoria è avvolta nella foschia. La famiglia, il fratello Andrea, il padre hanno sempre cercato, in maniera discreta ma continua, a cercare di andare a fondo, a dare una risposta ai tanti perché che, in casi simili, frullano nella mente e che, spesso, non trovano risposte.
Ma esiste la verità? Dove si trova la verità? “La verità” – diceva Sciascia – “è nel fondo di un pozzo: lei guarda in un pozzo e vede il sole o la luna; ma se si butta giù non c’è più né sole né luna, c’è la verità”.
Vincenzo Lalomia -ilmegafono.org
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