La mafia è un fenomeno umano che esiste in Italia da ormai tanti anni. Nel corso del tempo essa ha cambiato più volte forme e modalità, andando a proliferare spesso in situazioni di abbandono e degrado istituzionale. In questi contesti hanno fatto la storia determinate persone che hanno scelto di non abbassare il capo e combattere a muso duro, mettendo in gioco anche la propria vita, i soprusi della criminalità organizzata. Solo nel 1982, dopo anni di bombe, stragi e malaffare, nacque in Italia un organo speciale, con lo scopo di concentrare le forze di chi combatteva contro le mafie. Si trattava dell’Alto Commissario per il coordinamento della lotta contro la delinquenza mafiosa, che aveva sede a Palermo, all’epoca principale centro operativo di cosa nostra.
Nel 1991, grazie all’intuizione di Giovanni Falcone, il quale capì che l’impronta delle mafie si stava diffondendo a livello nazionale e non solo, si decise di dare un respiro nazionale anche alla lotta alla criminalità organizzata. Fu così che l’organo precedente fu sostituito con la Direzione Investigativa Antimafia (DIA), organismo del Dipartimento della Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno, nato con l’obiettivo di assicurare e coordinare lo svolgimento delle attività di investigazione preventiva sulle mafie.
La DIA, proprio negli ultimi giorni, ha celebrato i 30 anni di attività. Questa occasione è sembrata quella giusta per fare il punto della situazione generale in Italia e tirare le somme di quanto fatto in questi primi tre decenni di vita. Alcuni dati da analizzare li ha forniti la stessa organizzazione a fine 2018. Nei primi 27 anni di attività della DIA sono state emesse 10.501 ordinanze di custodia cautelare di cui circa il 77% direttamente riconducibili alla mafia siciliana, camorra e ‘ndrangheta. Un altro numero rilevante è quello dei beni confiscati in questo lungo periodo di tempo che sono stati stimati, nel medesimo rapporto, per oltre 10 miliardi di euro. Una cifra monstre soprattutto considerando che dal 1996, grazie al prezioso contributo di Libera, i beni confiscati vengono riutilizzati a scopo sociale per rivalorizzare i territori che sono stati devastati dal crimine organizzato.
Nel corso degli anni, l’antimafia italiana è diventata un’eccellenza anche a livello internazionale, in maniera decisamente speculare alla pessima reputazione riguardante il nostro Paese per la genesi e il radicamento del crimine organizzato. La globalizzazione ha favorito l’espansione dei domini delle associazioni criminali su quasi tutto il globo e per questo motivo gli organi di contrasto italiani, come la DIA, sono stati presi a modello da altri Paesi e dagli enti sovranazionali per far sì che il contrasto al crimine sia tanto efficace e tempestivo a livello nazionale, quanto coordinato sul piano internazionale.
La DIA è stata una grande risposta italiana a una prima evoluzione della mafia che, negli ultimi 30 anni, ha associato ai propri business tradizionali, come traffico di stupefacenti o racket, le infiltrazioni tanto nel sistema politico quanto in quello dei grandi appalti, aumentando sensibilmente il pericolo di corruzione. Nel corso di questo tempo la legge ha fornito numerosi strumenti che sarebbe oggi importante rendere obbligatori anche a livello internazionale, vista l’ormai incontrovertibile realtà di un mondo (e di un crimine) globalizzato. Risulta inoltre necessario adattare gli strumenti di prevenzione anche all’evoluzione tecnologica che, oltre a migliorare le nostre vite e aumentare le condizioni di benessere, è diventata il motore di un’evoluzione anche dei sistemi criminali. Il tutto senza considerare il dramma della pandemia che ha creato ancora maggiore povertà nel Paese, rendendo dunque più fertile il terreno per le mafie. La speranza è che l’Italia, ancora una volta, possa essere in prima linea nella lotta alla criminalità organizzata anche nelle sue nuove forme e declinazioni.
Vincenzo Verde -ilmegafono.org
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