Non è la prima volta che nelle piazze italiane risuonano voci che reclamano libertà e denunciano l’esistenza di una qualche forma di dittatura. In questi anni è successo spesso. Per ragioni diverse, c’è sempre qualcuno che, a un certo punto, parla di regime, protestando per una presunta privazione della libertà propria o di una parte della cittadinanza o perfino di tutto il popolo italiano. È sempre interessante assistere a questo tipo di denunce, per capire fino a che punto si possa perdere la lucidità di comprendere che in dittatura le manifestazioni non esistono, così come non esistono le opinioni, e quando provano a trovare spazio finiscono con i morti per terra e dentro le galere, nelle camere di tortura o nei campi di prigionia. Non nei commenti e nelle liti sui social. Naturalmente è difficile fare accettare questo concetto a chi vive pensando che anche dietro una confezione di latte si nasconda un complotto, ma la dittatura in Italia, da quando è nata la Repubblica, non è mai esistita.

Nemmeno quando sembrava più vicina ad esserlo. Non esisteva negli anni ‘70, non esisteva neanche quando Berlusconi stringeva le maglie della democrazia con i suoi editti bulgari e le sue leggi liberticide. Ci sono stati tentativi di autoritarismo, certo, ma andati a vuoto, proprio perché c’erano e ci sono gli strumenti democratici per fermarli e difendersi. Il berlusconismo venne sconfitto con il voto, con l’esercizio della cittadinanza. Abbiamo avuto di sicuro momenti nei quali sono state messe da parte le regole di una democrazia, come ad esempio a Genova, nel 2001, quando dalle cabine di regia dello Stato sono partiti gli ordini per il massacro e la tortura nei confronti di una generazione che chiedeva diritti per tutti, rivendicava lavoro, equità economica, rispetto dei diritti umani, diritto al futuro, proponeva alternative valide, aveva visione del mondo e lottava per tante cose ben più importanti di un certificato o di un tampone gratis.

Il regime, la dittatura, però, sono altro. Sono gabbie senza uscita, dove la voce non trova abbastanza fiato, dove la giustizia non ha opportunità, dove i pugni rimangono adagiati sui polsi stretti da catene senza chiave. Questo esiste, avviene ancora oggi anche in contesti formalmente e falsamente democratici, come la Turchia, ma di certo non in Italia. Dove tutti hanno diritto di parola (per fortuna, nonostante il caos che ciò spesso produce) e la possibilità di esprimere la propria opinione e scendere in piazza. Eppure da Roma a Trieste c’è un popolo che rivendica libertà, che urla ancora contro un fantomatico regime. Curioso pensare che, a Roma, a urlare fossero gli stessi che poi hanno devastato la CGIL e che di un regime, l’ultimo realmente esistito in Italia, sono gli eredi e i sostenitori postumi. Così come è curioso pensare che si possa manifestare per la libertà, come avvenuto a Trieste, e poi minacciare e strattonare inviati o cameraman, cioè gente che sta solo facendo il proprio lavoro.

Anche questo continuo attacco alla stampa, oltre a certi cori, mostrano l’infezione fascista e populista che affligge questo pseudo movimento per i diritti. Diritti di chi? Non di tutti, solo di una parte, quella che crede nei complotti e vorrebbe convincere il Paese a tornare indietro. La pandemia ha fatto danni a molte teste, e non ci si riferisce certo ai fantomatici effetti dei vaccini. Qualcuno sta spacciando per lotta di libertà una battaglia che, portata avanti con questo miscuglio di disinformazione, ideologismi e visioni complottiste, perde anche le sue poche e individuabili ragioni. Partiamo proprio da queste, come premessa dovuta. Il green pass è uno strumento poco efficace sul piano della sicurezza, ma testimonia comunque una ridotta percentuale di rischio di contagio grave, da ospedalizzazione per intenderci. A parte questo, però, non offre garanzia di immunità, è vero, ma è uno strumento per convincere le persone a vaccinarsi, ossia a seguire la sola strada possibile per uscire da questo incubo pandemico.

Il governo ha trovato questa soluzione, perché l’altra sarebbe stata l’obbligo vaccinale, che avrebbe polverizzato la necessità del certificato verde. L’obbligo vaccinale, però, sarebbe stato considerato anch’esso dittatura dal popolo delle piazze, quelle che mischiano no vax, no pass, qualunquisti annoiati e gruppetti variopinti che si muovono sugli estremi. Il governo avrebbe dovuto forzare la mano, assumendosi una responsabilità politica precisa (cosa difficile vista la composizione spuria e mescolata delle forze che lo sostengono). Insomma, alla fine il green pass si è rivelata l’unica forma di soluzione per invitare i cittadini a vaccinarsi e a fidarsi della scienza e non dei tanti millantatori che popolano piazze e web. Una scelta, condivisibile o meno, ma assolutamente lecita e molto meno dura dell’obbligo. In poche parole, se non ti vuoi vaccinare devi comunque, quantomeno, rispettare le regole e controllare il tuo stato di salute, dal momento che senza il vaccino si rischia maggiormente di contagiare gli altri e soprattutto di contrarre la malattia in forme gravi che necessitano di ricovero.

Sia chiaro, non è affatto piacevole pensare che una persona possa essere sospesa o cacciata per il non possesso di un certificato, ma la soluzione è semplice: tampone o vaccino. Il vaccino è gratuito. Lo hanno fatto 40 milioni di italiani. Che non sono più stupidi di chi non l’ha fatto e non meritano certo di pagare le conseguenze dei capricci di chi crede ancora alle teorie bislacche dei chip di Bill Gates o perfino dello sterminio programmato. Se non vuoi vaccinarti, fai il tampone. È il minimo, visto che qualsiasi forma di “libertà” non può prevaricare il diritto alla tutela della salute degli altri. Se si vuole entrare in un ufficio o in un luogo di lavoro, lo si deve fare rispettando anche gli altri colleghi e non mettendoli a rischio. Il tampone è a pagamento, certo, e nell’anno di pandemia sarebbe stato meglio averlo gratis per tutti. Sinceramente però non si capisce per quale ragione, adesso che esiste una alternativa gratuita, debba essere lo Stato, ossia i cittadini, a pagare i tamponi ai no vax.

È proprio questo rovesciamento continuo della realtà e della prospettiva dalla quale essa viene osservata a destare perplessità. La situazione sta sfuggendo di mano. Una minoranza riottosa, alla quale qualcuno romanticamente e ottusamente ha affibbiato persino un ruolo da eroi resistenti, tiene in ostaggio un Paese e la sua possibilità di ritorno alla normalità. Tutto per una paura che questi eroi del nostro tempo non riescono a superare o che usano a proprio piacimento per costruire strategie di disobbedienza e caos, sfruttando balle, panzane, opinioni di gente che non ha alcuna credibilità nel mondo scientifico o che cerca visibilità. Il rovesciamento di prospettiva si vede anche qui: chi non si vaccina rivendica il diritto di non fidarsi della scienza, però indirettamente vuole che chi si è vaccinato si fidi dei guru da web o di personaggi vari che hanno sposato le teorie del complotto. Insomma, parliamoci chiaro, è qui che il popolo dei no pass vede naufragare ogni propria legittimità: è nella scelta di dividere le piazze con i no vax e con gruppi di professionisti del disordine e della disinformazione, con gruppuscoli di fascisti che stanno strumentalizzando la situazione.

I lavoratori sono un’altra cosa, o almeno dovrebbero esserlo. E chi vede in questi movimenti delle forme di eroica resistenza dalla quale possano nascere esperienze politiche nuove, o è un nostalgico avulso dalla realtà o è qualcuno che prova miseramente e furbescamente a trovare consensi da infilare dentro il vuoto che rappresenta. A destra, come a sinistra. Intanto, mentre si protesta contro un certificato e si ironizza sulla forza ondulatoria, la (pessima) ministra Lamorgese chiama Maroni a presiedere la Consulta per la lotta al caporalato, un ambito nel quale sono in ballo diritti veri che riguardano molti braccianti, soprattutto stranieri. Ma su questo, siamo certi, il popolo dei no pass non dirà nulla, visti gli ignobili epiteti razzisti ascoltati in diretta streaming da alcuni partecipanti al presidio di Trieste. Ma questa è un’altra storia. Che qualcuno ovviamente dirà che è inventata ad arte, nonostante abbia inquinato in diretta le orecchie di molti di noi.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org