Un agguato continuo al territorio, ettari su ettari di terra andati in fumo. Brucia la Sicilia e brucia soprattutto la provincia di Siracusa. La scorsa domenica è stato un inferno, con tantissimi incendi dalla portata non indifferente, a conclusione di un’altra settimana drammatica che ha colpito anche i dintorni delle città, su tutte Siracusa e Melilli. Un’altra settimana di roghi dolosi che hanno modificato il paesaggio, ucciso centinaia di animali, distrutto alberi e macchia mediterranea. Una sfida continua per volontari e per le forze antincendio dello Stato, tutti impegnati mentre le istituzioni cincischiano, proclamano, si destano con la lentezza di un bradipo e senza una strategia seria, concreta. Il fuoco ha investito la riserva del Ciane, a Siracusa, le aree boschive di Cavagrande, forse la zona più tormentata dal fuoco in questo tragico 2021, che solo nelle ultime settimane, in tutta la Sicilia, ha fatto registrare 400 roghi.
Dopo Noto Antica, Vendicari e Cavagrande, in questi ultimi giorni sono andati in fumo anche il Val d’Anapo e il sito archeologico e naturale di Pantalica. Cavagrande e Pantalica, peraltro, sono i più importanti siti del Parco Nazionale degli Iblei, un progetto inviato a dicembre 2020 al Ministero dell’Ambiente e non ancora finalizzato con la sua necessaria istituzione. Come denunciano in un comunicato i volontari del Movimento Antincendio Ibleo (MAI), che continuano ad affrontare le fiamme armati di coraggio e battifuoco, il Val d’Anapo “brucia da dieci giorni, incenerendo oltre 300 ettari. Roghi persistenti e devastanti stanno distruggendo ettari di boschi e di macchia mediterranea dove insiste un immenso patrimonio paesaggistico, storico-etnoantropologico (muri a secco, niviere, mulini ad acqua, antiche masserie, palmenti, frantoi, abbeveratoi, concerie, edicole votive e regie trazzere), naturalistico (sorgenti d’acqua, cave, grotte, boschi e sentieri), scrigno di una delle più grandi biodiversità d’ Europa, i S.I.C. (Siti d’Importanza Comunitaria) degli Iblei”.
Una situazione insostenibile i cui effetti li vivremo per anni. Le immagini fornite sono desolanti, mostrano un paesaggio annerito, incenerito, grigio scuro, laddove un tempo vi era il verde rigoglioso degli alberi e di piante importantissime e pregiate. Un pezzo di noi, un polmone verde pestato a fuoco da chi persegue interessi speculativi e criminali. Interessi che vengono perseguiti grazie anche all’inerzia delle istituzioni locali, regionali e nazionali. Le soluzioni, infatti ci sarebbero, a partire dall’applicazione, da parte dei Comuni, della legge nazionale 353/2000 che prevede l’obbligo della mappatura catastale dei terreni bruciati, in modo che per 10 anni (ma sarebbe meglio estenderlo a 50) vi è il divieto di caccia, pascolo e di nuove edificazioni sui terreni colpiti. Qualora i Comuni non rendessero operativa la legge, la Regione Sicilia dovrebbe nominare il commissario ad acta per intervenire. In questo modo, si scoraggerebbe qualsiasi tentativo da parte di mafie dei pascoli e speculatori mafiosi e non, che provano ad appropriarsi dei terreni distrutti o a far perdere ai terreni la loro vecchia destinazione o i loro vincoli per poi utilizzarli per altri scopi.
Il Movimento Antincendio Ibleo a questa richiesta ne aggiunge altre, che andrebbero immediatamente ascoltate. Innanzitutto, si chiede che venga “istituito subito, a gestione pubblica, il Parco Nazionale degli Iblei”, in modo da avere “un maggior controllo del territorio, così come avviene negli altri parchi nazionali dove gli incendi sono molto limitati”. Per le stesse ragioni e con successo in passato è stato istituito il Parco Nazionale di Pantelleria. In questo modo, oltre a ricevere maggiore tutela contro gli attacchi dei piromani, il territorio potrebbe beneficiare di “vantaggi ed opportunità in termini di economia sostenibile e di tutela dei beni ambientali e culturali (salvaguardia degli ecosistemi naturali, recupero dei centri storici, degli edifici di valore storico e culturale, dei nuclei abitati rurali e dei borghi). Questa richiesta, peraltro, è stata sottoscritta già da oltre 7.400 italiani attraverso una petizione dedicata (clicca qui).
Il MAI chiede anche cbe sia “resa operativa la legge 68/2005 che ha introdotto gli ecoreati nel codice penale: infatti, oltre al delitto di incendio doloso, nei casi più gravi, si può configurare, per le conseguenze che hanno i grandi incendi, il delitto di disastro ambientale. Fondamentale poi, anche per il MAI, è la nazionalizzazione o regionalizzazione del servizio di spegnimento tramite aerei o elicotteri, togliendone la gestione ai privati, come richiesto dalla petizione lanciata dal nostro Megafono e dal MAI, che è stata firmata da oltre 7.900 persone (clicca qui). Infine, è fondamentale investire risorse per la prevenzione, con l’utilizzo di tecnologie esistenti, come ad esempio droni, fototrappole o come il Fire-Sat, già attivo in Basilicata, cioè il rilevamento satellitare di temperatura e aridità dei terreni o di innesco di incendi.
Nel frattempo, magari, sarebbe molto importante che l’esercito e la protezione civile nazionale dislocassero uomini e mezzi in Sicilia, per aumentare il numero di persone nell’attività di prevenzione, intervento e pattugliamento delle aree boschive. Non c’è più tempo da perdere, non è più il tempo delle parole e dei rimandi. Siamo dentro una guerra feroce che bisogna fermare. Per salvare il nostro patrimonio naturale e per salvare noi stessi e il nostro futuro.
Massimiliano Perna -ilmegafono.org
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