Il Comune di Falconara marittima, in provincia di Ancona, ha avviato da poco la raccolta differenziata “di prossimità”. Il progetto è partito dalle spiagge, dove sono state situate le prime “mini-isole” ecologiche con quattro contenitori di plastica di colori diversi per carta, imballaggi in plastica, vetro e lattine, indifferenziata, insieme ai bidoni marroni per la raccolta dell’organico. Le stesse spiagge, dove si susseguono decine di stabilimenti balneari, distano poche centinaia di metri dalla raffineria API. La mattina, verso le 9, l’acqua è limpida e sembra pulita: a quell’ora, nei giorni d’estate, molti bambini fanno il bagno e i loro genitori li guardano divertiti e forse contenti di avere il mare a due passi da casa. Basta non guardare a destra, dove le cisterne e i fumi della raffineria disegnano un paesaggio innaturale, o al largo, dove si staglia la piattaforma petrolifera (a 16 chilometri dalla costa).

L’acqua è tersa, gli stabilimenti balneari offrono molti servizi per le famiglie e i più ecologisti possono perfino fare la raccolta differenziata: basta non pensare. Non pensare che, da oltre 50 anni, il mare, il cielo e l’intera città di Falconara sono inquinati. Un inquinamento che non è solo ambientale, ma anche visivo. La raffineria, inizialmente, ha garantito centinaia di nuovi posti di lavoro e sicuramente ha arricchito il territorio, ma nel tempo ha distrutto la bellezza del luogo ed è diventata una condanna.

Ci sono studi che dimostrano l’esistenza di legami tra l’aumento delle malattie tumorali nell’area di Falconara e l’esposizione ai fumi della raffineria. Eppure le amministrazioni locali hanno scelto di convertirsi alla logica del profitto “immediato e senza scrupoli”, autorizzando la costruzione di un rigassificatore sulla piattaforma offshore dell’API. Il nuovo progetto garantirà ancora una volta nuovi posti di lavoro nel breve periodo e probabilmente arricchirà le casse del Comune e della Regione Marche, ma non si sa cosa succederà nel futuro.

Gran parte delle nostre amministrazioni pubbliche è ormai abituata a pensare al tornaconto immediato, anche derogando agli standard di sicurezza e soprattutto al buon senso. Negli Stati Uniti e in altri paesi europei sarebbe impensabile, nel 2011, realizzare un rigassificatore così vicino alla costa: ma all’API costerebbe troppo portare la struttura ad oltre 50 chilometri dalla spiaggia, come vorrebbe il rispetto dei parametri di sicurezza internazionali. In un altro paese sarebbe inconcepibile progettare, nel sito di una raffineria, dove già è prevista la costruzione di un rigassificatore, anche una centrale termoelettrica.

Eppure a Falconara è stata pianificata anche la realizzazione di una maxi centrale termoelettrica, nonostante ci siano altri piani per produrre la stessa quantità di energia da fonti rinnovabili. Nel 2003, a seguito della dichiarazione dell’area di Ancona, Falconara e bassa valle dell’Esino, come “area ad elevato rischio di crisi ambientale”, fu realizzato uno studio per un futuro sostenibile del territorio, un piano di risanamento ancora molto attuale. Non è mai stato approvato.

E allora che fare ora? L’unica speranza è che i comitati cittadini nati dopo le ultime “scriteriate” scelte dei governi locali e di quello centrale riescano a far rispettare almeno gli standard ambientali internazionali: collocare il rigassificatore a oltre 50 chilometri dalla costa, rinunciare al progetto delle mega-centrali termoelettriche marchigiane, realizzare un impianto di rigassificazione a ciclo chiuso (che non utilizzi l’acqua del mare) e soprattutto essere più “lungimiranti”. L’Italia entro il 2020 dovrà ridurre del 20% le emissioni di gas a effetto serra, portare al 20% il risparmio energetico e aumentare del 20% il consumo di fonti rinnovabili. Le regioni hanno approntato dei piani energetici ambientali per raggiungere questo obiettivo: le Marche non devono fare altro che rispettarlo, “senza se e senza ma” e soprattutto senza pressioni da parte delle lobby industriali.

G. L. – ilmegafono.org