“La qualità è l’ossigeno che ci manca, e se l’Italia è in asfissia è perché da troppi anni respiriamo mediocrità”. Lo scrisse qualche tempo fa Michele Serra, e a ben vedere rischiamo di convivere con l’attualità di questo pensiero per un tempo forse troppo lungo. Perché continuiamo ad osservare il livello della qualità che si abbassa senza intervenire, come spettatori non paganti e annoiati. Battiamo le ciglia, ci portiamo le mani ai capelli, aggrottiamo la fronte, scuotiamo la testa, dichiariamo fuoco e fiamme, ma alla fine non facciamo neanche lo sforzo di prendere il cerino. Ci preoccupiamo delle quantità, però, parsimoniosi che manco in tempo di guerra: abbiamo tagliato i parlamentari al grido “mandiamoli a casa!”, con un fervore quasi ottocentesco; lo abbiamo fatto e lo abbiamo fatto al buio, senza neanche sapere chi mandiamo a casa, e fra le mani stringiamo adesso la sola certezza che alla fine dei giochi dall’altra parte non cambierà nulla. Perché? Perché continuiamo ad assistere alle azioni di una classe politica che in generale offre un livello di mediocrità tale da sembrare senza freno nella corsa verso il baratro.
Oggi, in questo caldo principio d’autunno, siamo riusciti ad ottenere senza particolari sforzi un nitido manifesto di quel pensiero di Michele Serra, un affresco grigio e potente della mediocrità dei tempi che viviamo. Per averlo è bastata l’uscita pubblica della lampedusana Angela Maraventano, ex senatrice della Lega Nord: “…La nostra mafia che non ha più quella sensibilità e quel coraggio che aveva prima. Dove sono? Non esiste più perché la stiamo completamente eliminando, perché nessuno ha più il coraggio di difendere il proprio territorio”, ha detto, e poi ha fatto un passo indietro, inquietata dal web che la riprendeva. Dopo il suo passo indietro, come da copione, queste parole sono state bollate come “uscita infelice”, il che ha di fatto consegnato la vicenda alle pagine della storia che stiamo scrivendo sotto la voce “manifesto della mediocrità”. Perché i nostri nipoti non dimentichino ciò a cui abbiamo voluto assistere.
Certo, a pretendere un sussulto di qualità dovremmo dare una definizione adatta a questo fine pensiero della Maraventano, dovremmo chiamarlo col suo nome e poi scolpirlo su ogni pietra miliare che puntella le strade da Lampedusa a Predoi, nella Valle Aurina dell’Alto Adige, ché il termine adatto per definire questo suo articolato concetto è “vergognoso”. Solo che noi, abitanti dell’epoca dei tagli alle quantità, preferiamo “uscita infelice”. E lo preferiamo perché Angela Maraventano su quel palco di Catania, dove si inneggiava in favore di Matteo Salvini, ce l’abbiamo messa noi. Eravamo stati noi a mandarla al Senato, eravamo stati noi a imbottirla di voti e siamo stati noi a permetterle di aprire bocca per elogiare la mafia. Possiamo ora dire che è stata vergognosa se le abbiamo teso la mano per salire sullo scranno?
Certo, in un secondo momento Angela impaurita dalla violenza verbale del web ha dichiarato di essere contro la mafia, di aver espresso male un concetto col quale avrebbe voluto rendere chiaro che ce l’ha con la mafia d’importazione nigeriana, ma la verità che Angela non può negare è che questo personaggio macchiettistico che ha deciso di incarnare rappresenta una delle peggiori espressioni della mediocrità del nostro paese, quella mediocrità che fingiamo di combattere a colpi di tagli di quantità. Prendiamo la Sicilia: i siciliani del dopo referendum saranno i meno rappresentati a Roma, e questo in Sicilia è stato festeggiato come una vittoria epocale dal popolo del “sì”. I loro festeggiamenti hanno sollevato un rumore degno dei gol di Schillaci trent’anni fa, con una eco potente, al punto che se tendiamo l’orecchio sentiamo ancora “basta casta”.
Ma a tenderle tutte e due, le orecchie, dalle parti dei romantici correttori della Costituzione non sentiamo provenire neanche un sussurro di sdegno per quella lode alla mafia che da Catania è arrivata nelle case dei boss e dei ragazzi che arrivano ad elevarli a modelli in quelle cantine d’Italia dove lo Stato latita. Sì, per lavarsi il fango dalla punta delle dita Angela è stata invitata dalla Lega ad allontanarsi dal partito, come persona non gradita, ma le istituzioni regionali non hanno rilasciato una che fosse una e una sola frase ufficiale di dissenso. L’unico dissenso è arrivato dalla Commissione Regionale Antimafia, che s’è fatta antipatica a molti per la particolare propensione a non mandarle a dire ma che non s’è tirata indietro e, anzi, ha tirato le orecchie a Palazzo D’Orleans: “Dal governo regionale ci aspettiamo che ci faccia pervenire almeno un fiato di dissenso”, ha dichiarato il presidente della Commissione, Claudio Fava, dopo aver depositato presso la Procura della Repubblica di Catania un esposto/denuncia.
“Dispiace smentire l’ex senatrice, ma ‘sensibilità’ e ‘coraggio’ sono parole sconosciute al vocabolario di Cosa nostra. Alla Procura di Catania chiediamo di verificare se siano ravvisabili nella condotta dell’ex senatrice gli estremi di cui al comma 3 dell’art. 414 del codice penale”, ha voluto sottolineare Fava, evidenziando nell’esposto che “la Maraventano ha pubblicamente e sostanzialmente riconosciuto una ‘funzione sociale’ alla ‘nostra mafia’, sussidiaria all’azione istituzionale, auspicandone – non senza nostalgia – un intervento a contenimento del fenomeno dell’immigrazione. È gravissimo riconoscere, esplicitamente, all’organizzazione mafiosa qualità di ‘sensibilità’ e ‘coraggio’, sollecitando una sorta di negazionismo storico rispetto a ciò che – nei fatti – Cosa nostra è stata ed è. È inaudito affermare che la mafia «non esiste più perché noi la stiamo completamente eliminando», quasi a voler muovere a un sentimento nostalgico per la funzione di difesa del ‘nostro territorio’ che Cosa nostra avrebbe garantito”.
Ma veramente una questione simile è relegata solo alla Commissione antimafia? Veramente tutto questo, questo grumo nero di pressappochismo, incompetenza e ignoranza, questa disarmante leggerezza che va al di là della sfera della lotta alla mafia in ogni suo aspetto – se bene vi rientri – non riesce a farci rompere la bolla di mediocrità nella quale ci siamo chiusi? Angela Maraventano su quel palco urlava dietro la scritta “processate anche me”, e ha ottenuto – ironia della sorte – di far finire il suo nome in Procura senza rendersi conto del fatto che la legge comunque esiste e nonostante tutto riesce a tenersi fuori da quella bolla. Quindi se ti spingi troppo in là ci sbatti il muso, ed è un bene, solo che questo purtroppo non può bastarci.
Adesso noi, quelli che sbattono le ciglia e aggrottano la fronte e scuotono la testa, abbiamo la possibilità di farla diventare un monito, al di là delle condanne verbali e dei tribunali. Al di là della politica. Abbiamo la possibilità di mettere a fuoco quella sua uscita sul palco di Catania e dire “ecco, è così che non dobbiamo essere”. E allora facciamolo: usiamo la mediocrità come esempio per pretendere la qualità. Angela Maraventano e il suo pensiero sulla mafia stanno dentro quella quantità che pretenderemo sempre di tagliare se non faremo nulla per pretendere di migliorare.
Seba Ambra -ilmegafono.org
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