Oriana Fallaci raccontava che, durante l’intervista a Wernher von Braun, ex soldato e scienziato nazista, provò un forte senso di irritazione. L’odore di limone che promanava dal respiro di von Braun la infastidì molto. In lei, che aveva partecipato alla Resistenza contro i nazifascisti, riemerse infatti una memoria molto spiacevole: “Ricordo i soldati tedeschi, tutti lavati con il sapone disinfettante che odorava di limone. Tutti sentivamo quell’odore”, disse. L’odore dell’orrore, dell’assassinio di massa, aveva la traccia innocente del limone. Un odore che gran parte del popolo tedesco lasciò scorrere tra le proprie strade, chiudendo gli occhi davanti a quella guerra totale che coincideva con l’eliminazione degli ebrei, con un genocidio scientifico che troppi finsero di ignorare. L’indifferenza è la peggior forma di complicità. E quell’indifferenza è identica, anche quando la storia cambia protagonisti, scenari, connotati, tempi, ma ripropone e mescola logiche, metodi, responsabilità, strategie.
Anno 2020, il genocidio non si svolge più dentro l’Europa, ma davanti alla sua porta di ingresso. Non solo in mare, ma anche e soprattutto nella terra dirimpetto alle coste mediterranee del Vecchio Continente. La Libia è una gabbia insanguinata, nella quale migliaia e migliaia di esseri umani subiscono di tutto. Un Paese senza alcuna anima, un Paese diviso in due, nel quale i migranti sono oro, merce in carne ed ossa da utilizzare per fondare ricchezze e costruire ricatti. Una terra disseminata da lager dentro i quali torture, pestaggi, stupri, omicidi sono la normalità, una normalità che si svolge sotto gli occhi della comunità internazionale, dell’Onu, dell’Oim, che assistono incapaci di andare oltre le parole, le condanne di facciata. Una normalità che si svolge con la complicità di paesi come Italia e Malta, che alla Libia si affidano, riconoscendole un ruolo che non dovrebbe avere.
Il mare che fa da tappeto di ingresso all’Europa sta consumando il suo sale sul sangue dell’ingiustizia, bruciando diritti, allargando le maglie di un genocidio che definire silenzioso è ipocrita. Ipocrita come l’atteggiamento della politica europea, quella stessa che spiega come i respingimenti siano proibiti dal diritto europeo, ma di fatto da anni li fa praticare dagli Stati membri, pur sapendo che il soccorso in mare e l’obbligo di far sbarcare i naufraghi in un porto sicuro di una nazione che riconosca e rispetti i diritti umani (quindi non la Libia) sono imposti anche dal diritto internazionale. Ipocrita come l’Italia e gli italiani, trasversalmente colpevoli, impigliati nella palude fangosa della propria crudeltà, di una cattiveria farcita di ignoranza e convenienze spicciole.
L’Italia che da anni foraggia la Libia, sottoscrivendo accordi, sia quando il traffico di esseri umani e le torture erano affare di Gheddafi, sia oggi che sono direttamente i trafficanti di uomini coloro i quali gestiscono soldi e mezzi che l’Italia ha donato. La Guardia Costiera libica, sotto le cui divise si muovono i muscoli e le mani sporche dei trafficanti, di criminali senza scrupoli, ha avuto motovedette e perfino formazione sulle navi della nostra Marina. Addirittura uno dei capi della tratta di esseri umani qualche anno fa è stato invitato nelle stanze ministeriali del governo italiano per discutere di migranti. Uno scandalo pieno di domande alle quali né Gentiloni né Minniti (all’epoca premier e ministro dell’Interno) hanno mai risposto.
Il genocidio dei migranti in Libia e nel Mediterraneo ha una lunga storia, con decine di migliaia di vittime delle quali non conosceremo mai il nome, la storia, le speranze. Il deserto, gli abissi, i lager libici, un’epoca di morte rispetto alla quale, al netto delle parole, non stiamo facendo nulla se non misurare l’ignobile impotenza dell’Europa e delle organizzazioni internazionali e la putrida complicità dell’Italia e di altri paesi. Abbiamo condannato a morte una enorme massa di esseri umani. I recenti spari dei libici sui migranti riportati indietro, con l’uccisione di alcuni di loro, sono solo uno dei tanti casi quotidiani che lasciano il segno sulla pelle dei migranti e un odore di morte insopportabile. Quell’odore che fingiamo di non sentire, proprio come nessuno faceva caso al disinfettante agrumato dei nazisti. Un odore di morte che promana dalle firme degli accordi e dei rinnovi di quegli accordi.
Un odore che si appiccica alle parole degli ipocriti, che oggi chiedono al governo di cui fanno parte, non di mettere fine a quegli accordi, ma di cambiare direzione. Richieste vaghe, senza strategie precise, senza soluzioni, senza alcun coraggio di forzare la mano e fare scelte eclatanti. Il cattivo, oggi, non ha solo il volto truce e agitato del populismo, il cattivo ha il volto freddo dell’uomo di governo, ha il viso gentile e sorridente dei leader democratici che si fanno bastare qualche principio da enumerare per ripulirsi una coscienza livida. Odorano di morte tutti, passati e presenti leader, ministri dell’Interno, premier, e la loro cricca di giornalisti amplificatori, così come quella parte della società civile che quell’odore lo sente ma non lo ritiene abbastanza nauseante per reagire, per non perdonare, per agire senza alcun freno.
Adesso proveremo a coprirlo con l’olio abbronzante della nostra estate quell’odore, lo stesso con il quale copriamo lo sfruttamento schiavista dentro le nostre città e campagne. Ci cospargeremo di alibi per sentirci assolti o per difendere noi stessi e coloro che abbiamo in simpatia. Ma sarà tutto inutile, perché la storia quell’odore lo imprime nel tempo e nella memoria che torna e tornerà quando tutto questo, per natura, esploderà con violenza per ristabilire giustizia ed equilibri, dissotterrando la vergogna. La nostra vergogna.
Massimiliano Perna -ilmegafono.org
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