Liberi sotto un cielo di filo spinato. È una libertà a metà quella del popolo yazida, una libertà dalla tirannia dell’ISIS che ancora fatica ad essere riconosciuta dagli Stati arabi che accerchiano la zona del Kurdistan iracheno. Ancora frutto di discriminazioni, a volte paura. Alcuni Yazidi vorrebbero andarsene, si sentono stanchi, vorrebbero la vita che gli spetta, i diritti che gli spettano. “Abbiamo le mani legate, non siamo liberi di fare nulla”, ci racconta S., un giovane yazida. “Ogni volta che proviamo a cercare lavoro – prosegue – ci viene negato prima ancora di fare un colloquio”.

Se gli chiediamo quali sono le aspettative di vita degli Yazidi che vivono nel Kurdistan iracheno, ci risponde descrivendoci una situazione drammatica, desolante: “Aspettative? Nessuna. O poche, davvero poche. Gli Stati Arabi odiano la nostra religione, per questo non ci lasciano liberi di vivere, ci privano dei nostri diritti. I bambini in questi campi profughi non vedono futuro. E nemmeno noi. Ci viene negato tutto, strappata l’aria quasi. Eppure siamo esseri umani”.

Eppure sono esseri umani, che hanno lottato con una forza ineguagliabile contro l’oppressione dell’ISIS che aveva stretto con un cappio al collo le loro vite, le loro città. Si sono rialzati, hanno provato a ricostruire: “Ma siamo deboli – continua S. -, siamo un popolo pacifico che vorrebbe solo vivere in pace, vorremmo avere il diritto di vivere questa vita, avere i beni di cui necessitiamo. Invece restiamo una minoranza, non siamo liberi di parlare la nostra lingua. A volte la forza viene a mancare”.

I diritti sono una libertà per pochi, e non qui. Non dove ancora viene negata la parola, la propria lingua viene proibita, la propria religione segregata. Esistenze silenziose, quasi nascoste, soffocate dalla grande cultura araba che soffia tempeste dove provano ad esistere fiori nel deserto. Gli Yazidi continuano ancora vivere a passo felpato, con la paura che la loro vita possa fare troppo rumore.

Rossella Assanti – ilmegafono.org