Qualcosa è cambiato. Così qualcuno dice e scrive quando viene messa a confronto la politica dell’attuale ministro dell’Interno italiano sul tema dei migranti con quella del suo predecessore. “Qualcosa è cambiato”, ripetono. E lì a sciorinare cifre che marcano questa differenziazione e che riguardano gli sbarchi concessi alle navi delle ong (tre nel mese di novembre) e i ricollocamenti seguiti all’accordo di Malta. A qualcuno, evidentemente, basta questo. Ci si accontenta dei toni bassi, della competenza del nuovo ministro rispetto all’inadeguatezza del precedente, dell’educazione e dello stile che sono lontanissimi dalla volgarità di chi mostrava la sua carne traballante fra mojito e cubiste. Certo, è indubbio che la ministra Lamorgese, al cospetto del suo predecessore, è un gigante, e che è sparita la pantomima ignobile dell’insulto e dell’odio sputati sui social, delle menzogne, della criminalizzazione dei soccorritori. Ma questa nuova linea istituzionale e comunicativa, non giustifica questo mix inquietante di entusiasmo e silenzio.
L’entusiasmo di chi oggi plaude alla neoministra, attribuendole una svolta che nei fatti non c’è, e il silenzio di una parte della stampa che si mostra meno attenta, meno puntigliosa di come faceva in passato sullo stesso tema. Eppure, a parte l’accordo sul ricollocamento e la concessione di sbarco ad alcune navi, la condizione dei migranti sostanzialmente non è cambiata, così come non è cambiata la linea. Perché anche con il nuovo esecutivo e con la nuova titolare del Viminale abbiamo lasciato per giorni e giorni o perfino settimane navi piene di naufraghi in mezzo al mare, nell’attesa di concordare i ricollocamenti. Abbiamo evitato di far concludere le operazioni di soccorso, violando le leggi internazionali per continuare a seguire quei decreti sicurezza che sono già sotto la lente della Consulta per la loro evidente incostituzionalità. Insomma, si continua a seguire lo spettro politico del precedente ministro, invece di cambiare rotta e obbedire non a una generica, ma comunque valida, legge del mare e dell’umanità, quanto al diritto internazionale.
A ciò si aggiunga l’imbarazzante rinnovo degli accordi con la Libia, accordi che la ministra Lamorgese ha difeso, rifiutandosi persino di rispondere a quei (pochi) giornalisti che le ponevano le domande giuste circa l’opportunità di continuare ad alimentare il potere dei trafficanti di esseri umani e l’orrore dei lager libici. Perché è quello che stiamo facendo, che stiamo continuando a fare. Così come stiamo proseguendo nel lasciare intatti quei decreti, per paura che il governo non tenga, che la fetta di sovranisti infiltrata dentro esecutivo e maggioranza possano storcere il naso e minacciare scricchiolii. L’opportunità politica, il mantenimento del potere, la paura di andare a un confronto elettorale contro chi ha voluto quelle leggi disumane sta spingendo le forze che si sono unite per opporvisi a proseguirne l’opera. Un paradosso tragico.
Vedremo cosa accadrà, qualora il governo attuale fosse ancora in carica, quando scadranno i permessi di soggiorno per protezione umanitaria e non saranno più rinnovabili proprio per assenza di questo status, cancellato dai decreti sicurezza. Vedremo, se non dovesse intervenire prima la Consulta, come il governo affronterà la condizione disperata di molti migranti, il passaggio dall’essere regolare e integro alla vita delle nostre comunità all’essere d’improvviso un irregolare, un individuo che deve ricominciare una estenuante trafila burocratica o subire una ingiusta espulsione e magari un rimpatrio in un luogo che ne mette a rischio l’incolumità. Forse per qualcuno questo conta meno delle opportunità politiche ed elettorali, eppure si parla della vita delle persone, quelle stesse persone che una parte di questo Paese ha scelto di vessare, umiliare, privare dei propri diritti.
Non si comprende, allora, perché dovremmo dire che qualcosa è cambiato. Non si capisce perché, ad esempio, dovremmo considerare meno grave quello che accade oggi, quando una nave della ong tedesca Sea Eye, la Alan Kurdi, è stata costretta ad attendere per giorni in mare, tra le onde, con la sola concessione di far scendere una ventina di naufraghi in condizioni di salute più difficili, prima che si decidesse di farla sbarcare in un porto italiano. Un porto nel quale completare l’operazione di soccorso, come prescritto dal diritto internazionale, e dare ristoro e riparo agli altri 61 migranti, per metà donne e minori, che sono stati strappati alla morte. Perché il Viminale non ha accettato la richiesta del sindaco di Palermo di far sbarcare la nave nel porto del capoluogo siciliano? Perché, mentre la nave era in rotta verso Palermo, si è deciso di farla sbarcare a Messina, facendola tornare indietro allungando ancora i tempi?
Perché continuiamo a lasciare la gente in mare, in attesa di trattative di ricollocamento che potrebbero avvenire anche con la gente al sicuro dentro un porto? Perché continuiamo a tenere sequestrate le navi di alcune ong, nonostante le indagini di diverse procure abbiano dimostrato che non hanno commesso alcun reato? Perché non si discute più della necessità di riportare una missione europea condivisa di pattugliamento e soccorso in mare, in modo da aiutare le poche ong che continuano a salvare persone, nonostante le difficoltà e gli ostacoli che ancora vengono posti da chi governa?
La verità è che non è cambiato praticamente nulla, se non la facciata. Si continua a non agire, si continua a non coordinarsi, si lasciano libere le motovedette libiche di andarsi a riprendere i migranti, per riportarli indietro e vessarli ancora, usarli ancora come arma di ricatto per ottenere soldi e rimetterli poi in mezzo al mare. Si continua a lasciare donne, uomini, bambini nei lager gestiti dai trafficanti che, come sappiamo, sono infiltrati dentro la guardia costiera di uno Stato che non è uno Stato, che non rispetta i diritti umani, che si è autoassegnato la zona SAR, in modo unilaterale, con l’avvallo dei paesi europei. Una nazione nei cui centri, spesso vicini ai presidi dell’Oim, si compiono i peggiori misfatti, le peggiori violenze sugli esseri umani. Assistiamo a mancati soccorsi, a naufragi che avvengono perché le autorità nazionali non permettono alle ong e alle navi di intervenire.
Davanti a tutto questo, davanti a un dramma quotidiano, chi si accontenta delle briciole guarda la storia solo dalla prospettiva di chi comanda, di chi vive una vita normale, di chi vive in pace, dipingendo la propria facciata più conveniente. Ma la storia che rimarrà ai posteri, quella vera, alla fine verrà raccontata dalla prospettiva di chi subisce, di chi senza una ragione si vede negare la propria umanità. Purtroppo, a questa storia, il governo attuale non ha impresso alcuna reale discontinuità.
Massimiliano Perna -ilmegafono.org
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