La situazione boliviana di ora in ora sta diventando più complicata e drammatica. Il governo che si è insediato a La Paz, senza voto parlamentare e con il solo compito di portare il Paese alle elezioni entro 90 giorni, sta facendo dei passi che lo qualificano sempre di più come un governo “politico” e non di scopo. L’esecutivo presieduto da Jeanine Añez infatti ha deciso, senza passare dal parlamento, di fare uscire la Bolivia dall’Alba, cioè dall’alleanza tra i paesi cosiddetti “bolivariani” (Venezuela, Nicaragua, Cuba) e, cosa più grave, ha stabilito una sorte di “scudo penale” per le forze dell’ordine nel lavoro di repressione del dissenso. Una misura duramente e giustamente criticata dalla Commissione Interamericana per i diritti umani (CIDH). Sono state enunciate anche misure che riguardano la cultura, l’economia e le relazioni internazionali.
Evo Morales, dall’esilio messicano, in un’intervista con BBC afferma che in “Bolivia si è instaurata una dittatura, complici gli Stati Uniti”, e difende il risultato delle elezioni dello scorso 20 ottobre, contestate dall’opposizione, non scartando di potersi candidare di nuovo a presidente del Paese. Da parte loro, i gruppi estremisti di Santa Cruz che in questi giorni si sono visti in azione anche nella capitale, parlano di mettere al bando il MAS (il partito di Evo) e di giudicare tutti i suoi dirigenti per frode elettorale. In mezzo ci sono i cittadini che dal 2017 hanno protestato contro Morales per la forzatura alla sua Costituzione per potersi ricandidare, ma anche dei movimenti sociali che criticano da anni l’impronta “estrattivista” del suo governo, che ha portato all’apertura di strade in Amazzonia, alle proteste dei minatori sull’accordo con la Germania per il litio e alle responsabilità per i giganteschi incendi di foresta amazzonica di quest’estate. Per molti, le dichiarazioni di principio sulla protezione della Pacha Mama sono state più volte smentite.
Ormai è inutile fare dietrologie, ma malgrado la spaccatura del fronte popolare e l’innegabile calo di consensi di Morales (il 20 ottobre si è fermato, dando per buoni i risultati, al 47% contro il 63% del 2014), se un suo successore fosse stato candidato avrebbe potuto lo stesso vincere le elezioni come successo con Dilma Rousseff dopo Lula in Brasile, con Maduro dopo Chavez in Venezuela o con Moreno dopo Correa in Ecuador. Comunque, ora sono ragionamenti inutili perché la situazione sta degenerando e le vittime mortali sono oltre 20. Soprattutto non si capisce quale potrebbe essere il risvolto democratico quando da una parte si chiede di tornare a ricandidarsi, malgrado questa sia stata la scintilla, e dall’altra si governa senza consenso, ma si comincia a prendere pesanti misure politiche.
Negli ultimi giorni, chi si sta mettendo velocemente fuori da quel barlume di legalità che aveva accompagnato la sua autoproclamazione a Presidente (riconosciuta dal Tribunale costituzionale, ma anche da USA e Russia) è la senatrice Jeanine Añez. Se il suo governo insisterà nel volere governare decidendo questioni delicate senza essere passato dal voto e senza fare deliberare il parlamento gli ingredienti per il dramma successivo sono già pronti. Una totale e assoluta rottura della legalità oggi potrebbe dire due cose: l’intervento diretto dell’esercito prendendo il potere, oppure l’inizio di una guerra civile con l’aggravante del rischio di perdita di integrità territoriale.
A Santa Cruz sono tornate prepotenti le voci di avvio, come in passato, di un tentativo di secessione. Tutti questi scenari sono pessimi, soprattutto per un Paese che era riuscito a scampare alla recessione che sta colpendo il subcontinente da qualche anno. Per questo motivo la crisi boliviana non è equiparabile a quella ecuadoregna o cilena, qui non c’è una crisi sociale, ma squisitamente politica. Senza dimenticare ovviamente le tensioni razziali tra indigeni e bianchi e le spinte separatiste.
Quale sarebbe invece l’unica soluzione viabile per evitare questa deriva? Che entrambi i bandi riconoscano le ragioni dell’altro stabilendo un patto molto semplice: quando si va al voto e come si va al voto. Scartando che Evo Morales si possa ricandidare, il suo movimento deve essere libero di presentarsi alle elezioni e anche di vincerle, cosa peraltro non impossibile. Se invece si insisterà da una parte a governare da soli come se si fosse legittimati dal voto e dall’altra a non riconoscere che è finita, politicamente, l’era di un grande leader e che qualsiasi movimento con tale radicamento deve reagire e rinnovarsi, la deriva sarà inarrestabile. Purtroppo sarebbe presto una deriva funestata ancora di più da lutti che colpiranno tutta la comunità boliviana.
Alfredo Luis Somoza (Sonda.life) -ilmegafono.org
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