Ci sono voluti dieci anni e una donna coraggiosa, forte e dolcissima, per cacciare la notte. La storia di Stefano e Ilaria Cucchi è dura da raccontare perché assomiglia all’incubo che ognuno di noi può conoscere in qualunque notte sbagliata della propria vita. Una notte durata dieci anni e che ogni mattina picchiava alla porta di Ilaria, per entrare nel suo cuore senza chiedere permesso. Una notte bastarda e cattiva che prima le ha rubato un fratello e poi, per dieci lunghissimi anni, ha vomitato insulti e offese su di lei, su Stefano e sulla sua famiglia, umiliato la sua resistenza e la sua dignità. Ogni mattina la notte tornava e ogni volta si presentava con una maschera diversa per nascondere il suo ghigno e la sua vera faccia.

Qualche volta la maschera aveva la faccia tronfia di Carlo Giovanardi, la faccia di chi conosce sempre tutte le verità: una laurea in giurisprudenza e il servizio militare nell’Arma dei Carabinieri, poi deputato e senatore in Parlamento dal 1992 al 2013, una carriera politica sempre spesa a giudicare tutto e tutti dall’alto del suo piedistallo. I suoi nemici? Chiunque non si conformi al suo integralismo: contro l’eutanasia, contro l’omosessualità e contro ogni concetto di famiglia che non sia quella tradizionale, contro i più deboli e gli ultimi. Nessun pudore e nessuna vergogna nel giudicare e offendere le vite spezzate di Stefano Cucchi e Federico Aldrovandi: non sono morti per le violenze subite, ma se la sono cercata.

Stefano Cucchi muore mentre è nelle mani dello Stato, il 22 ottobre 2009. A quel tempo Carlo Giovanardi è il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio del governo Berlusconi, e Roberto Maroni è il ministro degli Interni. Carlo Giovanardi si erge sul pulpito e sentenzia che Stefano era morto perché “drogato, anoressico e sieropositivo”. Da quel giorno mai un passo indietro, tutt’altro. Da quel giorno Giovanardi ha alzato il tiro e alle calunnie su Stefano ha voluto aggiungere la sua voce alla macchina del fango contro la sorella Ilaria, colpevole di cercare solo la verità (leggi qui).

Altre volte la notte che picchiava alla porta di Ilaria aveva la faccia rozza, volgare e arrogante di Matteo Salvini. Nel gennaio 2016, in seguito a un post che Ilaria Cucchi scrisse sul suo profilo Facebook, Salvini dichiarò: “… Capisco il dolore di una sorella che ha perso il fratello, ma mi fa schifo. È un post che mi fa schifo. Mi ricorda tanto il documento contro il commissario Calabresi. La sorella di Cucchi si deve vergognare. La storia dovrebbe insegnare… I legali fanno bene a querelare la signora e lei dovrebbe chiedere scusa. Io sto sempre e comunque con polizia e carabinieri … sembra difficile pensare che ci siano poliziotti o carabinieri che hanno pestato per il gusto di farlo”. Matteo Salvini, il ministro della paura che chiudeva i porti e chiedeva i pieni poteri, anche dopo un processo e una sentenza che dimostrano senza ombra di dubbio com’è stato ucciso Stefano Cucchi, afferma che lui lotterà sempre contro la droga. Nessun pudore, nessun rispetto verso una famiglia cui lo Stato ha ucciso un figlio a calci e pugni.

Viene da chiedersi, però, perché aspettarsi un gesto di umanità e di pudore da parte di questi avanzi di società e, in ogni caso, che valore avrebbero le scuse da parte di “mezzi uomini, ominicchi e quaquaraquà”? Per dieci anni, ogni mattina, la notte ha picchiato alla porta di Ilaria Cucchi. E ogni mattina ha lasciato il suo secchio di fango e di cattiveria davanti a quella porta. Mentre Ilaria combatteva la sua lotta impari, in tanti hanno detto e scritto che cercava solo di sfruttare la morte del fratello per vantaggi personali. I nomi? Tanti, ma uno ancora è quello di Carlo Giovanardi che, evidentemente incapace di accettare l’anonimato, doveva avere un conto aperto con la famiglia Cucchi e con Ilaria in particolare (leggi qui).

Era grande quel secchio e dentro quel fango ognuno ha lasciato la sua impronta: lo Stato, prima di tutto, e poi l’Arma dei Carabinieri che ha coperto e depistato per anni gli autori di quell’infamia. Il “sistema” chiedeva tutto questo e tutto questo è stato portato avanti con feroce determinazione. Nulla di diverso dalle coperture e dai depistaggi che in questo Paese hanno una storia lunga, che parte nella notte del 15 dicembre 1969 nelle stanze del quarto piano della Questura di Milano. Una strada che non conosce curve e che ha attraversato l’Italia intera, passando da Brescia, Bologna e Palermo, e un giorno d’estate del 2001 arriva a Genova, per continuare e attraversare Ferrara nel 2005, fino ad arrivare a Roma in una sera d’autunno del 2009. Da Giuseppe Pinelli a Stefano Cucchi, passando sopra i corpi di Peppino Impastato, Carlo Giuliani e Federico Aldrovandi. In mezzo all’incrocio questo Stato gioca anche la carta della trattativa con altri poteri entrati ormai nel salotto di famiglia.

In tutti i casi emergono le menzogne dello Stato, le omissioni, le coperture e i depistaggi. Qualche giornalista scomodo indaga, chiede, scrive. Accanto a Ilaria si schiera la parte migliore di questo Paese dove qualcosa di pulito esiste e resiste ancora: nel settembre del 2018 Alessio Cremonini presenta a Venezia il film “Sulla mia pelle”. Cento minuti intensi e scioccanti sull’ultima settimana di vita di Stefano: una ricostruzione basata su testimonianze e atti giudiziari. Nessun sensazionalismo, tutto si intuisce senza il bisogno di scene violente. Cento minuti che aprono gli occhi a tutti. Ma è sulle spalle delle famiglie che resta tutto il peso del dolore, della solitudine e di quella montagna di fango che arriva da ogni angolo delle istituzioni.

Poi, qualche volta, c’è un granello di sabbia che inceppa la macchina del fango: la variabile non prevista. Nel processo per la morte di Stefano Cucchi la variabile non prevista ha la divisa e il nome di un carabiniere: Francesco Tedesco, anche lui imputato al processo. È lui che accusa con determinazione i colleghi Raffaele D’Alessandro e Alessio Di Bernardo: li accusa delle violenze e delle botte inflitte a Stefano nell’indifferenza complice di colleghi e superiori, ed è sempre lui a smascherare tutta la catena di depistaggi e di omissioni che ha influenzato le indagini per dieci lunghi anni. In questa catena di comando, l’Arma dei Carabinieri è presente a pieno titolo. 

Nessun ingranaggio è perfetto e il granello di sabbia lo dimostra sempre, solo dopo queste dichiarazioni è cambiato l’atteggiamento dell’Arma dei Carabinieri e di una parte dello Stato: nel mese di maggio anno 2019, cioè dieci anni dopo la morte di Stefano, l’Arma dei carabinieri, il ministero della Difesa e il ministero degli Interni hanno presentato istanza di costituzione di parte civile. L’ultimo schiaffo ad Ilaria è arrivato durante il processo, quando nella loro arringa difensiva le avvocate dei carabinieri affermano che “la morte di Stefano Cucchi è stata ingiusta e mando un pensiero alla famiglia Cucchi. Ma questo processo è una caccia alle streghe…” e “… il mio assistito non ha toccato Stefano Cucchi neanche con un dito, al massimo uno schiaffo, certo non un violentissimo pestaggio”. È l’ultima offesa, l’ultimo schizzo di fango, ma non serve più a nascondere quella verità che per una volta esce a voce alta dall’aula di un Tribunale.

Ilaria Cucchi questa verità l’ha inseguita per dieci anni, l’ha cercata per Stefano e per la sua famiglia, e in questa ricerca ha messo sul tavolo tutto il cuore di cui è stata capace. Per anni le sue denunce e il suo coraggio hanno incontrato solo muri di gomma e lo scherno delle istituzioni: è stata insultata, minacciata e denunciata, ha sofferto tutto quello che si poteva soffrire, ma Lei è andata avanti con la dignità che l’ha sempre accompagnata. Difficile, se non impossibile, provare anche solo a immaginare la fatica che cammina insieme al dolore, solo chi ha conosciuto questa strada sulla propria pelle può arrivare a capirla veramente.

Adesso tutti sanno quello che era chiaro anche prima della sentenza di condanna dei carabinieri coinvolti in questa storia e che in tanti hanno provato a nascondere: Stefano non era caduto dalle scale, Stefano è morto di botte. Stefano Cucchi era un ragazzo, la sua storia e la sua vita finivano la sera del 15 ottobre 2009 al parco degli Acquedotti quando viene fermato e arrestato perché trovato in possesso di qualche grammo di hashish e di cocaina, qualche pastiglia per la sua epilessia. Entrava in caserma, poi in carcere e, infine, all’ospedale Sandro Pertini.

Ci sono voluti dieci anni e una donna coraggiosa, forte e dolcissima, di nome Ilaria per cacciare la notte. Adesso Stefano può chiudere gli occhi e sorridere a Ilaria, come quando erano bambini.

Maurizio Anelli (Sonda.life) -ilmegafono.org