“Gli esseri umani non nascono sempre il giorno in cui le loro madri li danno alla luce, ma la vita li costringe ancora molte volte a partorirsi da sé” (Gabriel García Márquez).
Il tempo segna qualunque strada, anche quella che si pensava fosse la sola strada da camminare fino in fondo, per sempre. Poi il tempo rimescola le carte del mazzo e le rimette sul tavolo e non sono più quelle di prima, sono cambiate e la partita non è più la stessa. Puoi continuare a giocare, fingendo che in fondo la partita sia la stessa, puoi bluffare e convincere te stesso e gli altri che hai vinto tu. Oppure puoi alzarti dal tavolo e decidere che vuoi e devi provare a rinascere una seconda volta, e poi ancora un’altra e un’altra ancora, perché quella non è più la tua partita e quelle carte vanno rifiutate. La vita è questa e non ne esiste un’altra e allora ritornano quei pensieri che tanti anni fa ti facevano compagnia ad ogni giorno nuovo: vivere ogni giorno, rimettersi in piedi dopo ogni caduta, provare a vincere tutte le paure che la vita ti sputa in faccia senza guardarti.
L’amore al tempo di Salvini è la partita più difficile, perché è una partita truccata. Si gioca su troppi tavoli e con un solo attore protagonista, intorno soltanto misere comparse in cerca di fortuna. L’amore ai tempi di Salvini è vietato, proibito. È un salto indietro nel Medioevo più oscuro, dove si bruciavano sul rogo le streghe e gli eretici, chiunque osasse sfidare la voce del potere.
L’amore ai tempi di Salvini è pericoloso: con il tempo diventa solitudine, amarezza, sconfitta. L’amore al tempo di Salvini muore sotto il sole del Mediterraneo quando si dichiara guerra alla vita che è stipata sul ponte di una barca, senz’acqua e stremata dalla fatica e dalla disperazione, negando l’accesso a un porto in nome della legge. Ma la legge di chi? La legge della paura. L’amore al tempo di Salvini muore dentro l’aula del Parlamento, dove lo sceriffo irride e umilia la Costituzione e insieme ai suoi sgherri complici offre alle telecamere il proprio ghigno sprezzante.
L’amore al tempo di Salvini muore in un Paese della Calabria dove un Uomo, degno del nome e vestito da sindaco, ha insegnato che la dignità umana non potrà mai avere nessun prezzo ma soltanto valore. Quell’uomo è stato offeso e ferito in mille modi ma è ancora in piedi, ricco della sua forza e della sua umanità, della sua fierezza. L’amore al tempo di Salvini muore a Riace e nell’incapacità delle istituzioni di difendere quel modello di vita, quell’uomo e quell’idea di accoglienza.
L’amore al tempo di Salvini muore nel momento in cui viene scritto, votato e approvato il Decreto Sicurezza, figlio di secondo letto delle leggi razziali del 1938 del ventennio fascista. L’amore al tempo di Salvini muore negli insulti vomitati per anni contro Ilaria Cucchi, difendendo e giustificando sempre le violenze di divise sbagliate e sporche di sangue, coprendo il loro agire e le loro menzogne. Ma anche questo insulto alla vita è un figlio di secondo letto perché prima di Salvini altri servi del potere avevano fatto lo stesso gioco: dalle piazze di Reggio Emilia nel luglio del 1960 alle finestre della questura di Milano, dal G8 di Genova alla strada di Ferrara, dove un ragazzo di nome Federico Aldrovandi non fece più ritorno a casa. In mezzo, tutta la stagione delle stragi e della loggia massonica della P2.
L’amore al tempo di Salvini muore sul nome di Giulio Regeni e in quell’ostinata mancanza di volere arrivare alla verità, in nome di quei rapporti diplomatici-economici da salvare con l’Egitto. L’amore al tempo di Salvini muore nell’abbraccio mortale a Vladimir Vladimirovič Putin e a tutti i leader xenofobi e fascisti dell’Europa: dall’Ungheria alla Polonia, dalla Francia di Marine Le Pen all’Inghilterra di Nigel Paul Farage.
L’amore ai tempi di Salvini è necessario: vitale come l’acqua nel deserto e il sorriso di un bambino, perché la prima vittoria che questa società sembra avere ottenuto non è l’indifferenza delle persone. Quella vittoria ha il volto dell’astio, dell’odio e del disprezzo verso tutto e tutti: verso i migranti, verso i poveri, contro i giovani dei centri sociali e contro gli omosessuali e chiunque abbia un concetto di famiglia diverso dalla morale comune. C’è un nemico ovunque fuori dalla porta di casa, questo è quello che ci viene detto e ripetuto fino alla nausea, tutti i giorni: c’è un’invasione di migranti, c’è qualcuno che mina la società perbene e conformista fondata sulla famiglia tradizionale, Dio, Patria e Famiglia. La Trinità è in pericolo e a minacciarla è chiunque abbia un vestito diverso da quello tradizionale.
Ecco perché è il momento di alzarsi dal tavolo, e nemmeno in punta di piedi. In qualunque epoca e in qualunque girone dantesco di ogni regime, da quelli con i carri armati nelle strade a quelli mascherati da democrazia, nulla potrà azzerare il bisogno di libertà e di verità. Anzi, tanto più uno Stato di polizia stringe il cappio tanto più cresce e si alimenta il bisogno di ribellarsi all’arroganza e alla violenza delle leggi ingiuste e di un potere vile.
Per questo c’è un prezzo da pagare e lo sanno bene le donne e gli uomini che ogni giorno devono sfidare prima le onde del Mediterraneo e poi la chiusura dei porti, le motovedette messe a guardia di Lampedusa. In più devono pagare gli insulti delle comparse, corrotte nell’anima e nell’intelligenza, che aspettano le ONG sui moli del porto per augurare a Carola Rackete di essere stuprata. Lo sa bene Mimmo Lucano, l’uomo che ha restituito Riace alla vita e che per questo sarà processato e giudicato, mentre il ministro che lo accusa evita il confronto con la giustizia servendosi dello scudo dell’immunità parlamentare. Lo sanno bene i migranti che vivono nei lager gestiti dalle mafie o nei tuguri controllati dai loro caporali, e per sopravvivere raccolgono i pomodori sotto il sole per un’elemosina. Lo sanno bene tutti coloro che sfidano mafia, camorra e ‘ndrangheta nell’indifferenza delle istituzioni troppo impegnate a giocare la guerra di Salvini contro i migranti. Sì, c’è sempre un prezzo da pagare quando si vuole provare a cambiare le cose, quando si sfida la vita e si decide che è il momento di alzarsi dal tavolo. E allora dobbiamo capire, dentro di noi, se siamo disposti a pagare quel prezzo.
È una domanda semplice, più difficile la risposta. Implica qualcosa che va oltre la razionalità, entra in una strada che per molti è l’anticamera di un romantico sogno adolescente. Credo che non ci sia nulla di peggio che osservare con indifferenza o con rassegnazione la più cattiva delle guerre sociali portate avanti da una classe dirigente rozza e xenofoba, che culla nell’oblio quella gran parte di cittadini che la legittima con il proprio voto. Credo ancora nelle persone, o almeno in quelle persone che hanno ancora valori con cui si addormentano la notte tardi, quando il mattino si avvicina e fuori dalla finestra c’è un altro giorno con cui fare a pugni per conquistare il rispetto di se stessi. Credo nelle donne e negli uomini che osano sfidare un ministro e la sua autorità, e che per farlo salgono a bordo di una nave e vanno in mezzo al mare a salvare vite umane, credo in un uomo semplice e pulito che accetta un processo per aver accolto migranti in un paese come Riace abbandonato da Dio e dagli uomini.
Credo che quando si sfida il mare, dopo essere passati dalle prigioni della Libia, si abbia il diritto di trovare una mano da stringere. Credo in tutti coloro che sono disposti a fare qualcosa, anche la più piccola, per provare a cambiare questo mondo perverso e fottuto. La vita spesso regala molto, poi decide di togliere altrettanto, ma va vissuta fino in fondo. Ci sarà tempo dopo di fare i conti con le sconfitte, ma la vera sconfitta è stare alla finestra aspettando che passi la notte. Preferisco aprire la porta, i calcoli non hanno bisogno di me. L’amore ai tempi di Salvini? Si può trovare ancora, ce n’è bisogno davvero. E poi … Salvini chi?
Maurizio Anelli (Sonda.life) -ilmegafono.org
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