L’odio genera odio. La storia dell’uomo è piena di pagine che dimostrano la verità di questo assunto. Ma è altrettanto vero che all’odio non si possa rispondere sempre e solo con la pace e con l’amore. Perché purtroppo la storia è piena anche di fallimentari strategie di pace. E di momenti nei quali la pace si è ottenuta con qualcosa di diverso dall’alzare le mani o cantare e ballare in un giorno di festa. In questa epoca buia non basta più appellarsi a valori e principi che un tempo erano molto più apprezzati e riconosciuti. Oggi, c’è una parte della società capace di una crudeltà terrificante, nelle parole e nei gesti. La vita umana, la libertà e tutti gli elementi che sono percepiti come diversità vengono aggrediti, sminuiti, combattuti e disprezzati.
La guerra ai migranti e alla solidarietà, gli haters, gli odiatori seriali che vomitano oscenità disumane sul web, l’odio di genere, gli ultraconservatori misogini e omofobi: il fronte della crudeltà sembra trovare spazi sconfinati. E impunità. A chi agisce per conto di posizioni estremiste e reazionarie sembra che tutto sia possibile. Il web ha acuito questa aspra deriva, sdoganando concetti e termini un tempo assolutamente esecrati e trasportandoli sul piano politico e mediatico. La politica e la stampa hanno smarrito le loro direttrici di un tempo, buttando via il loro vestito istituzionale e professionale e mutandosi in un guazzabuglio disgustoso, una pastoia nella quale mischiare tutto, inserire qualsiasi ingrediente, per poi offrirla al popolo, avido e bramoso come lo stomaco di un maiale.
La narrazione falsa, disumana e propagandistica, costruita da una parte di questo Paese per sporcare la realtà con fiumi di menzogne, predomina, inquina il dibattito, ma soprattutto produce conseguenze. Non solo culturali, ma anche sociali e personali. La menzogna, come è noto, si alimenta a una velocità infinitamente maggiore di una qualsiasi verità. Ha uno sviluppo e un radicamento facile. Se poi l’insulto e la violenza la spalleggiano e riescono a coprire qualsiasi tentativo di smontarla, la situazione diventa drammaticamente pericolosa. Dinnanzi a ciò non possono bastare solo l’ironia o le parole educate. Così come non serve a niente rispondere con insulti. L’unico rimedio sono i ceffoni che la verità sa dare. E devono essere forti, potenti, pronti a non arretrare di un millimetro.
La retorica del potere non può essere sconfitta dalle logiche di marketing che seguono normalmente le aziende o le associazioni (e, ahinoi, i partiti). La retorica del potere va smontata assestando colpi duri. Non abbiamo altre possibilità, non si può vivere nell’attesa vana che scendere in piazza una volta ogni tanto e farsi vedere sia sufficiente. Né che raccontare le cose positive possa servire, da solo, a cambiare la coscienza debole degli indecisi, di coloro che vivono nella strada di mezzo, oppure risvegliare gli addormentati, i silenziosi. Non funziona così. Troppo spesso si sentono appelli a scegliere “narrazioni positive”, a snobbare i fomentatori di odio, a non dargli peso.
Sentiamo spesso dire, quando si affronta il tema del web e dei social, ma anche della comunicazione politica, che bisogna evitare le immagini forti, quelle che non richiamano sentimenti positivi. E ancora che bisogna spiegare senza scioccare, cercando di comprendere le paure e i limiti di un popolo che vive nella crisi e che viene investito da decine di messaggi negativi. Dicono perfino che l’odio si saturi da solo. Lo dicono giornalisti, studiosi, esperti di comunicazione, politici. Lo avranno detto in tanti anche nel passato agli albori delle peggiori pagine della storia del mondo. La maggior parte lo sostiene tutt’oggi e capita spesso di ascoltare questa posizione maggioritaria negli incontri tra giornalisti, in quelli con le associazioni e le organizzazioni, in quelli ai quali partecipano professionisti della comunicazione, soggetti politici e istituzionali.
Bene. Posizione legittima e in parte condivisibile, ma figlia probabilmente di un’epoca che continua a procedere in una sola direzione, quasi fosse ormai precipitata in una dimensione parallela dalla quale non riesce a uscire. Come se dovessimo per forza adeguarci a questa immagine infantile del popolo, a questa sua suscettibilità. Come se il mondo fosse cambiato con le carezze. Non si comprende perché mai dovremmo avere paura di mostrare al popolo la verità cruda, con la sua forza e il suo grado di shock. Non si capisce perché mai bisogna nascondere ai cittadini le parti crude di una narrazione. Dicono che non dobbiamo far vedere immagini forti, non immagini di donne con i segni di una violenza che ha cifre da bollettino di guerra, non immagini di migranti torturati, non immagini negative, emotivamente forti, perché non fanno presa e si prestano al gioco degli odiatori seriali.
In parte è vero, ma non è che forse abbiamo perso di vista il fatto che questa assuefazione la stiamo creando proprio noi dando al popolo quel che vuole, confezionando i messaggi secondo logiche di marketing e di algoritmo e non più secondo logiche politiche e umanitarie elevate? Non è che abbiamo abituato troppo il popolo a vivere l’emozione/indignazione del momento per poi invitarlo, subito dopo, a una distrazione perenne che possa curarlo dalle eventuali tracce di quella emozione? Abbiamo forse dimenticato che l’unica cosa che può combattere ipocrisia e omertà è la verità cruda? Di esempi ve ne sono tanti.
Il pianeta cominciò davvero ad occuparsi di fame nel mondo solo dopo che le immagini ci rivelarono il dramma umanitario del Biafra. Il mondo ha capito cosa è stato l’Olocausto quando ha visto le immagini dei lager e dei mucchi di ossa e ascoltato le testimonianze terribili dei deportati nei campi. Certo, c’è sempre stata e sempre ci sarà una versione negazionista e bugiarda dall’altra parte, ma di fronte a una verità prorompente capace di smontare qualsiasi indifferenza o menzogna, la parte di chi si schiera con quella verità sarà sempre più grande e più forte .
Ed è quella forza che sospinge, che offre l’impeto necessario per contrastare la faccia crudele del potere nelle piazze e ovunque si produca un’ingiustizia. Perché non si può pensare di salvare un naufrago o un deportato o un prigioniero in un lager solo professando un bello ma non efficace linguaggio positivo e d’amore sul web o facendo un evento di qualche ora a discutere di pace a centinaia di chilometri di distanza dagli orrori che si compiono, quotidiani, concreti e puntuali.
Massimiliano Perna -ilmegafono.org
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