Una risata vi seppellirà, dicevano gli anarchici. Con gli occhi di oggi possiamo dire che, più che una risata, sarà il ghigno dei potenti a seppellirci. Come nazione, come continente e come civiltà. Non cadremo per mano di spietati conquistatori stranieri. Cadremo per nostro stesso “merito”, per implosione, per abbrutimento. Non è certo la nomina di Lino Banfi alla commissione Unesco a segnare un declino che parte da molto lontano, da quando qualcuno raccontava barzellette squallide, per poi proseguire con chi definiva gufi o vecchi tromboni gli uomini di cultura. Adesso abbiamo tolto il freno, siamo già ampiamente oltre, al punto in cui la discesa diventa più oscura.
La sensazione più disarmante è che molti continuano a non capire come siamo arrivati fino a qui, all’epoca del disprezzo per ciò che è umano, della derisione di ciò che un tempo era autorevole. All’epoca del mescolamento e ribaltamento delle priorità. Siamo nel tempo dei talk show h24, tribune sconcertanti nelle quali l’argomento è genuflesso al cospetto della propaganda, con stormi di giornalisti troppo spesso incapaci di mantenere la schiena dritta e il cervello acceso. Passano messaggi tremendi, disinformazioni inarrestabili, sembra che qualsiasi operazione di restauro della dignità di un dibattito cada nel vuoto.
Così, episodi imbarazzanti, come il baciamano di un signore che ha pubblicamente assassinato la sua dignità, finiscono per coprire il problema principale, facendo in modo che, nella città devastata da una escalation di attentati intimidatori, si riesca a non parlare di camorra. Oppure accade che le discussioni sui morti in mare diventino teatro di oscenità linguistiche e concettuali che nessuno riesce a moderare e rimproverare. Si possono ascoltare i rappresentanti politici e i loro portavoce non ufficiali (con il tesserino da giornalista) mischiare menzogne e fango, una pastoia da gettare tra le fauci bavose del popolo.
Allora le Ong vengono di colpo associate alla illegalità. Nonostante di illegale non abbiano nulla, né vi siano state condanne. Le archiviazioni delle inchieste discutibili di qualche procura in cerca di gloria, non vengono nemmeno considerate. Le Ong sono diventate il male assoluto e il dibattito corre su questo terreno, volutamente, per forzare un’idea precisa e assegnare responsabilità diverse da quelle reali. Abbiamo esponenti di governo che, invece di tacere o avere la dignità di scusarsi davanti a tragedie delle quali sono responsabili, accusano chi sta provando in tutti i modi a evitarne altre.
La chiazza di fango e olio che inquina il mare dell’informazione e dell’opinione pubblica si allarga. La lotta alla mafia scompare dal quadrante delle priorità e dei problemi da estirpare. Tutto il male assoluto viene raccolto e caricato sui migranti, colpevoli perfino di morire in un numero e in un luogo tali da non poter finire nell’oblio. E ancora più colpevoli diventano le Ong, che hanno osato raccontare, denunciare quanto accaduto. Abbiamo un ministro che afferma che esse incoraggiano questa gente a partire e quindi a rischiare la morte. Lo stesso ministro che li rimanda in Libia, da dove si scappa perché tra umiliazione, morte e violenza certa e una residua speranza di farcela, c’è chi sceglie naturalmente questa ultima via.
Sono diminuiti gli sbarchi ma sono aumentati i morti. La Libia è un inferno. E lo è non solo per colpa dell’Europa, come sostiene chi continua ottusamente a difendere l’Italia e scaricare il barile su altri. Lo è perché è il luogo in cui il nostro Paese, con Minniti prima e Salvini poi, ha scelto di far morire i migranti, andando contro tutte le norme internazionali e le convenzioni in materia di diritti umani. Non è un porto sicuro. E rimandare indietro degli esseri umani è una gravissima violazione.
È come se vostro figlio o un vostro familiare venisse picchiato, seviziato, stuprato e una volta riuscito a scappare e a raggiungere la casa di un vostro amico balordo, quello lo rimandasse indietro e lo riconsegnasse a chi lo ha picchiato, seviziato, stuprato. Destinato a subire ancora e ad essere ucciso. Ecco, l’Italia è l’amico balordo. Quello che ha pagato la Libia (o meglio una parte non troppo definita di Libia), gli ha dato mezzi e ha formato i guardacoste (spesso legati ai trafficanti) sulle proprie navi. Si chiama complicità in genocidio, o magari anche solo in strage se vi fa stare più tranquilli…
Tutto questo non passa troppo nell’opinione pubblica. Questi messaggi da “buonisti” non riescono facilmente a superare la cortina ruvida dei vari rampolli delle due maggioranze di governo mandati a inquinare il dibattito, né quella avvilente e infame dei cagnolini del potere, dei Borgonovo, Giorgino, Giletti, Giordano, dei Belpietro, Feltri, Porro, di chi il tesserino ha deciso di usarlo come spazzola da scarpe o incarto di show indecenti. No, non è Banfi che ci seppellirà con una sua battuta stralunata, con il suo italiano volutamente storpiato, con la sua voglia di strapparci un sorriso in barba ai “plurilaureati” noiosi, quelli che magari di Unesco e di patrimonio culturale ne capiscono tanto, ma purtroppo non sono capaci di dire “porca puttena” al momento giusto.
A seppellirci siamo già bravi noi, come cittadini impreparati e sempre più ignoranti, come giornalisti curvi e appesi al laccio di una bassa propaganda, come Paese incapace di andare oltre gli slogan. Ci seppellirà la nostra coscienza, fredda, spietata. Ci seppellirà la nostra scarsa memoria, che dimentica in un attimo come anche l’Italia abbia avuto la sua squallida fetta di colonialismo e abbia ucciso, stuprato, gasato, derubato pezzi di Africa. Ci seppellirà una società che non sa più reagire, non sa più opporsi a ciò che è disumano, non sa più dissentire con i mezzi disponibili.
Ci seppelliranno l’odio e l’indifferenza, il silenzio e la rassegnazione. Ci stanno già seppellendo. Mentre predichiamo pace e controlliamo la rabbia. Nonostante quest’ultima sia l’unica che potrebbe permetterci di afferrare la pala e scavare al contrario.
Massimiliano Perna -ilmegafono.org
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