La scelta del ministero degli Interni di depotenziare la scorta di Ignazio Cutrò potrebbe trasformarsi in un errore gravissimo e imperdonabile. Stando alle ultime decisioni prese dal governo, infatti, il noto imprenditore siciliano (da tempo minacciato dal clan che lo vessava e che Cutrò ha denunciato) passerà da una macchina blindata ad una “semplice”, mentre la sua famiglia si vedrà revocare la scorta di cui godeva fino a qualche giorno fa. Una decisione, questa, che sarebbe giustificata da una situazione attuale ritenuta più tranquilla e per la quale una protezione di 4° livello (il più basso) viene giudicata sufficiente.

Ma qual è la reale situazione? Come è possibile che un ministro degli Interni non ne sia a conoscenza? Di Cutrò abbiamo parlato lo scorso dicembre: solo pochi mesi fa, infatti, abbiamo festeggiato insieme a lui (ed a tantissime altre persone) l’approvazione, da parte del Senato, della legge sui testimoni di giustizia, una legge il cui scopo era quello di migliorare il sistema di protezione degli stessi testimoni. Un traguardo storico, il coronamento di una battaglia che Ignazio ha condotto in prima linea, uno sforzo immane e di lunghissima durata per cui il mondo politico (e non solo) ha espresso soddisfazione e consenso.

A distanza di poco tempo, però, la realtà dei fatti rischia di andare controcorrente rispetto a quanto ci si aspettava; o quantomeno rischia di farlo nei confronti proprio di Cutrò. Secondo il governo uscente, in poche parole, al momento la vita dell’imprenditore non sarebbe in pericolo. O, se proprio vogliamo dirla in maniera diversa, non come lo è stata negli ultimi anni.

Eppure basta poco per capire che non è affatto così: nel corso dell’operazione sulla “mafia della montagna” realizzata ad inizio anno, relativa ad alcune cosche dell’agrigentino, territorio da cui proviene Cutrò, la presenza di cosa nostra è apparsa ancora molto radicata, se non addirittura più forte, a dimostrazione di un alto livello di pericolosità e di rischio nei confronti di tutte le persone che combattono la criminalità organizzata. A tal proposito, non possiamo non citare le parole del boss Pietro Nugara, uno dei più pericolosi dell’area, il quale, durante alcune intercettazioni realizzate dai Carabinieri, avrebbe minacciato di compiere una strage non appena lo Stato si sarebbe “stancato” di Cutrò e avesse deciso di togliergli la scorta.

La scelta del governo ha prodotto anche reazioni nette, come quella del testimone di giustizia Giuseppe Carini che, a seguito di questa decisione di revocare la scorta di alto livello a Ignazio, non ha utilizzato giri di parole affermando che “la revoca delle speciali misure di protezione a Ignazio Cutrò e la revoca totale della scorta alla sua famiglia” sono una “vera porcata”. Si segnala anche quanto fatto da Valeria Grasso, un’altra testimone di giustizia che ha preso così tanto a cuore la vicenda in questione da recarsi presso la segreteria del ministero e chiedere di rivedere tale scelta scellerata poiché mette in pericolo la vita di Cutrò e dei suoi familiari.

Insomma, per fortuna Ignazio non è da solo. Accanto a lui ci sono migliaia di persone pronte a supportarlo e a dargli la carica necessaria laddove fosse necessario. Allo stesso tempo, però, tutto questo potrebbe rivelarsi inutile nel caso in cui qualcuno decidesse di agire: non saranno certo le attestazioni di stima di un politico o le dichiarazioni di un’associazione antimafia a proteggerlo dai rischi e dalle pallottole. Quel che fa rabbia, ancora una volta, è la preoccupante abitudine dello Stato italiano di sottovalutare la pericolosità di una situazione che già solo le dichiarazioni del boss Nugara dovrebbero spingere a gestire con maggiore attenzione, soprattutto davanti a un cittadino che ha svolto il suo dovere con dignità  e coraggio.

Dal ministero degli Interni ci si aspetta quindi che tale decisione venga rivista e riformulata; dalla politica in generale ci si aspetta invece una maggiore attenzione al tema della lotta alle mafie, da troppo tempo scomparso dal dibattito pubblico e dall’azione legislativa. Perché se questa “guerra” passa anche dagli arresti dei criminali o di esponenti mafiosi e dalla denuncia attiva da parte dei cittadini, allora bisogna imparare a proteggere per bene questi cittadini e a non ignorare le minacce di chi ha promesso di vendicarsi di loro.

Giovanni Dato -ilmegafono.org