Quale sia il clima in Italia ormai è noto. Talmente evidente, tangibile, da andare oltre i leoncini da tastiera che si sollazzano sui social. La vena razzista degli italiani ha ormai trovato maggioranze politiche e decine di sponde in vari ambiti della società. Lo straniero, purché sia povero, abbia la pelle scura e venga dall’Africa, dal Medioriente o dal Sud dell’Asia, è diventato il destinatario di qualsiasi frustrazione, per la soddisfazione di chi dirige dall’alto i fili dell’economia e della politica e dalla guerra tra poveri ha solo da guadagnarci. Questa violenza incontrollata trova così linfa in una sottocultura diffusa e fatta di disinformazione, false notizie, banalizzazioni, etichette ed egoismi.

La pelle nera è il principale bersaglio da centrare. In qualsiasi circostanza. Politicamente i migranti sono diventati l’oggetto di una crudeltà infinita, che è verbale ma anche formale e si sostanzia in scelte legislative, misure, azioni, accordi che umiliano la dignità e minacciano la vita di migliaia di persone. Tutto per una questione di voti, per arricchire un consenso sempre più rozzo, nevrotico, variabile. Una strategia pericolosa, che i mass media foraggiano da anni, con i loro racconti distorti, con i titoli ad effetto, con un disequilibrio narrativo che è imbarazzante e polverizza secoli di “regole” alle quali un giornalismo di qualità dovrebbe ispirarsi.

Se l’Italia uscita dal voto è in parte quella che odia lo straniero, ciò è anche perché da tempo questo Paese vive nella menzogna, nella visione drogata di una crisi rispetto a cui i migranti non hanno alcuna responsabilità, non c’entrano affatto, anzi. Qualcuno ha spinto i poveri a disprezzarsi tra loro, ma in realtà a vomitare odio è solo una parte, cioè quella di chi ha deciso di riportare indietro la storia. Le conseguenze di questa menzogna che politica e media mutano in verità credibile (e creduta) sono terribili. Negli ultimi mesi, quando il clima è stato spinto al massimo da chi doveva raggranellare consensi, prima si è corso il rischio di una strage, a Macerata, e poi alla fine il morto ci è scappato davvero, a Firenze.

Proprio quella Firenze che nel 2011 era già stata teatro di un duplice omicidio a sfondo razziale, con la ferocia di un fascista scaricata su Samb Modou e Diop Mor, due lavoratori senegalesi. Un fatto di sangue che si collega oggi, tragicamente, all’assassinio di Idy Diene, che di Modou era cugino e che dopo la sua morte si era preso cura della figlia. Diene è stato freddato da un individuo che, nel suo presunto delirio psichico, ha avuto la freddezza di scegliere, di selezionare un bersaglio preciso, ossia un uomo dalla pelle nera. Eppure guai a parlare di razzismo. Lo dicono i giornali, i commentatori, il sindaco (che con la sua maggioranza ha snobbato la richiesta di proclamare il lutto cittadino).

Sono “fatti isolati”. L’assassino voleva suicidarsi, poi non ne ha avuto il coraggio e ha deciso di sparare a caso. Peccato però che sfugga un particolare: un folle non razzista avrebbe sparato sul primo individuo a tiro. Così non è stato, visto che prima di premere il grilletto avrebbe lasciato passare qualche bianco, risparmiandolo, per poi puntare e fare fuoco su Idy. Senegalese, nero. Davvero difficile capire allora da dove derivi la demarcazione che con sicurezza i media disegnano tra razzismo e casualità. Difficile capire ancor più come l’indignazione dei commenti sul web e in città sia indirizzata più alle fioriere distrutte da un gruppo di cittadini senegalesi che hanno reagito con rabbia all’ennesima esecuzione di un innocente.

È imbarazzante ed avvilente accorgersi che per la gente oggi valga davvero così poco la vita di un uomo. Soprattutto se straniero. Ma è possibile che quattro fioriere possano far indignare di più dell’omicidio di un innocente punito solo per il colore della sua pelle? In Italia sì. In Italia, la rabbia di un gruppo di persone stanche di subire, che viene scaricata su quattro vasi, viene giudicata più grave di un cadavere sul selciato, stroncato senza una ragione, senza capire nemmeno il perché di quel che stava per capitargli.

Questo nostro Paese non ha più senso della misura e si affida in buona parte a chi ha messo i migranti al primo posto tra i problemi di una nazione nella quale la corruzione, l’evasione, le mafie, lo sfruttamento, l’ignoranza, la miseria sono state abilmente nascoste da chi non ha nemmeno una ricetta valida per provare a combatterle e allora preferisce aizzare il popolo contro chi non ha voce. C’è anche chi, dalla parte opposta, pur capendo il dolore dei senegalesi, condanna i loro atti vandalici a Firenze e chiede calma. Pace e calma.

Sono i benpensanti. Quelli che chiedono, pontificano, giudicano. Ma non muovono un dito. Usano parole, ma non capiscono che il tempo delle parole non può durare in eterno.  Perché nella vita reale, quando sei bersaglio continuo e invisibile di tutto il peggio che questo Paese sa offrire, arriva un punto di rottura, un momento in cui la disperazione diventa rabbia. E allora preoccuparsi delle fioriere di Firenze è davvero l’ultimo stadio di una umanità in declino.

Delle fioriere non dovrebbe importare nulla a nessuno. Perché le fioriere rotte sono niente. Delle piante strappate sono simboli vuoti che fanno venire i brividi solo a chi vive al caldo e ben parato. Chi vive al freddo, invece, tra l’ostilità e le ingiustizie subite, quei fiori li strappa tra le lacrime perché sarà costretto a metterli sulla tomba di un amico, un parente, un connazionale morto solo per il colore della propria pelle. Ancora una volta. Nell’indifferenza totale di chi avrebbe dovuto condannare, dire una parola, raccontare ogni dettaglio. E invece minimizza e cancella la notizia dal dibattito nazionale.

Massimiliano Perna -ilmegafono.org