Cosa c’è di peggio del conformismo? Il finto anticonformismo. Vale a dire la smania intellettualoide che coglie chi, di fronte a un tema, cerca in ogni maniera di costruirsi artificialmente una posizione distinta e controcorrente, magari irrazionale e fortemente polemica, ma che possa essere spacciata come il frutto di una inimitabile e lucida capacità critica. Questa voglia di non conformarsi, quando è artificiale, è un elemento che mira a spiazzare, a creare confusione, perché risponde più che altro a un vezzo narcisista, a una volontà di protagonismo, al punto che è molto raro che essa si scagli contro un potere vero e proprio, contro un apparato conservatore o una mentalità retrograda o reazionaria. È assai più facile, invece, che si scagli proprio contro chi contesta quel potere, quella mentalità, quell’inaccettabile status quo.
Insomma, sembra quasi che i falsi anticonformisti siano gli anticorpi reazionari schierati per delegittimare chi punta al cambiamento. Ecco allora che c’è poco da stupirsi davanti allo sproloquio superbo e irritante di Catherine Deneuve e delle firmatarie di una lettera che punta il dito contro i movimenti per i diritti delle donne che stanno agendo contro il sistema diffuso di molestie e comportamenti prevaricatori dei maschi in ambito lavorativo, politico e sociale. Parole che vanno lette in lingua originale per poter “apprezzare” il peso di certi concetti e per accorgersi di quanti pensieri di plastica scorrano tra le righe di una lettera, tra le cui firmatarie spiccano donne che negli ultimi anni si sono fatte spesso notare per posizioni misogene o per l’avversione ai movimenti femministi.
Catherine e le sue colleghe, dunque, mentre le donne di molte parti del mondo stanno trovando il coraggio di demolire paure e sistemi di potere fondati sul sessismo e sulla molestia, rivendicano pubblicamente il diritto ad essere importunate. Partendo da un assunto in linea di principio scontato, ossia il diritto alla difesa e il rifiuto di processi mediatici sommari, per poi spingersi oltre e affermare che questo clima ha costretto molti uomini a dimettersi per aver commesso l’unico torto «di aver toccato un ginocchio, tentato di strappare un bacio, aver parlato di cose intime in una cena di lavoro, o aver inviato messaggi a connotazione sessuale a una donna che non era egualmente attirata sessualmente».
Deneuve e compagne, dunque, ritengono le femministe responsabili di una campagna di odio verso gli uomini e di una esagerazione nei confronti di comportamenti che non sono reati e che apparterrebbero alla normale dinamica seduttiva. Le cento firmatarie, infatti, tengono a sottolineare l’esistenza di una chiara differenza tra lo stupro e la molestia (come se i movimenti femministi non lo sapessero) per poi illustrare la loro concezione “controcorrente” del rapporto tra uomo e donna: la seduzione – dicono – è libertà di importunare anche con insistenza o in maniera maldestra.
E chi sostiene il contrario, secondo la Deneuve, offre il fianco ai conservatori, ai sessuofobi, ai reazionari, agli estremisti religiosi che in questo clima di “caccia alla streghe” stanno costruendo la propria crociata contro la libertà sessuale delle donne, presentate come delle vittime, come degli «esseri umani a parte, bambini con il volto adulto, che pretendono di essere protette». I principali accusati sono movimenti come #MeToo, che stanno raccogliendo le voci di tutte quelle donne (tantissime) che, prima, non avevano avuto il coraggio di raccontare e denunciare.
Ma davvero la libertà sessuale può essere messa a rischio, come sostiene la Deneuve, da un mondo femminile che nuovamente alza la testa e abbatte il silenzio violento imposto da chi detiene le leve del potere in certi settori della società? Non è che forse alla Deneuve e alle sue colleghe di firma sfugge un principio fondamentale come, ad esempio, la degradata educazione sessuale degli uomini e la visione distorta della libertà sessuale? Perché è davvero avvilente pensare che la seduzione ammetta un atteggiamento “maldestro”, se per maldestro si intende una palpata intima o un bacio non richiesto, o la costrizione a un massaggio o a una masturbazione per non perdere il posto di lavoro, o doversi sorbire doppi sensi, discorsi perversi o messaggi porno nel proprio smartphone.
Non è stupro, naturalmente, e non credo ci sia bisogno che ce lo spieghi la Deneuve. Ma di certo, in questa concezione, manca una cosa che è fondamentale nella seduzione, per qualsiasi sesso ne sia coinvolto: vale a dire il consenso. Corteggiare, sedurre, provarci non possono prescindere dal consenso o quantomeno dall’essere più o meno apertamente ricambiati (e se uno capisce male, va ricordato che anche nell’approccio più maldestro esistono comunque dei limiti). Soprattutto in ambito professionale, nel rapporto disequilibrato tra potere e lavoro, non si può ammettere come corteggiamento il farsi trovare nudi a un appuntamento, toccare le gambe di una donna, palparle il sedere o costringerla ad assistere a esibizioni onanistiche.
E non c’entrano l’essere vittima o il bisogno di protezione, ma la dignità e il rispetto della persona. Forse la Deneuve non sa che la libertà sessuale in tutte le sue forme è tale proprio perché si esprime in una reciproca volontà, altrimenti diventa qualcosa che con il sesso non c’entra alcunché, ma che piuttosto scade nella prevaricazione e nella violenza. E la violenza non è contemplata nella sessualità, se non nella forma consapevole e reciproca della passione e di un gioco volontario e vicendevole.
Al contrario di quello che sostengono le firmatarie francesi, dunque, non c’è alcun vittimismo o odio nei confronti degli uomini e della sessualità nei movimenti che stanno denunciando le storture maschiliste di un mondo che ha privato il sesso (che sia quello occasionale o stabile) della magia di un reciproco desiderarsi, di un piacere egualmente cercato, di un consensuale gioco tra pari, lontano dal potere e dalle logiche precostituite, dai sentimentalismi forzosi e dai tabù o diktat religiosi. Non c’è un puritanesimo di ritorno, né un vittimismo esasperato, nella battaglia femminista.
C’è, anzi, il rifiuto di essere vittime silenziose, la consapevolezza della propria libertà, del proprio diritto di scegliere se e quando richiedere o accettare un gioco o un tentativo di seduzione, quali limiti possano essere considerati ancora leciti e quali no. Ed è un diritto che vale per tutti, uomini e donne, a qualsiasi età e in qualsiasi ambito e luogo. La Deneuve può pensarla come crede e può anche non sentirsi traumatizzata «se qualcuno le si struscia contro in metropolitana» o magari definirlo un simpatico atto maldestro di seduzione, ma non ci venga a dire che una donna che si senta privata della propria volontà e che invece decida di reagire con un bel pugno o un ceffone in faccia è una retrograda, una frustrata sessuale o una malata di vittimismo.
Perché c’è un limite a tutto. Pure alle tortuose elucubrazioni di una diva un po’ snob e delle sue compagne di firma, peraltro arcinote per la loro imbarazzante misoginia e dunque difficilmente credibili.
Massimiliano Perna -ilmegafono.org
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