Qualche giorno fa ho visto un diritto cadere, l’ho visto assumere le sembianze di un ragazzo che cercava soltanto, con rabbia disperata, di aggrapparsi alla speranza di fermare ciò che distrugge, strappa, “espropria” il proprio vissuto, le proprie origini, i sogni e il sacrosanto principio di autodeterminazione, di scelta circa il futuro della terra in cui è nato, vive, lavora, cresce. Un ragazzo che non si dà pace, non accetta che si sventri il domani di un intero territorio per piazzarci sopra un’opera inutile e per riempirlo di amianto e di cemento. Tav, un affare miliardario, qualcosa che attiene solo al profitto di pochi e non ad una necessità di rinnovamento infrastrutturale, qualcosa che si trascina da anni ma che si presenta da sempre come dotata di un carattere di urgenza che in realtà non ha. La Val di Susa non ci sta, una buona parte della sua popolazione difende un principio che nella nostra Costituzione occupa il posto più importante: la sovranità.

Il mondo politico, la gran parte dei mass media non hanno avuto nemmeno la decenza di evitare certe bestialità di fronte ad un evento drammatico, ma anzi lo hanno utilizzato per dare addosso ad un movimento che ciascuno etichetta a modo proprio. Luca Abbà, che si è visto sottrarre pezzi di terra in cui lui e i suoi avi hanno seminato sudore e fatica, ha scelto un tentativo estremo, forte per fermare lo scempio e opporsi ad una militarizzazione totale della valle, con tutto ciò che comporta in termini di rabbia e tensione. È caduto, è precipitato giù. Non so se perché la polizia, in modo eccessivo, ha cercato di raggiungerlo fin sopra il traliccio o per un incidente. Quel che conta è che quel ragazzo non è un folle, uno scriteriato, un terrorista: è una delle tante incarnazioni di un diritto negato che non si rassegna ad esserlo. Diritti, Costituzione: in questo clima, la fisionomia essenziale di questo Paese diventa surreale, perché davvero è difficile individuare i contorni, la conformazione fisica dello Stato.

Siamo di fronte ad un governo che sembra davvero vivere in un altro mondo, staccato fisicamente dal suolo su cui muove i passi smuovendo polvere e aria. Di fronte al popolo, a quello vero, in carne ed ossa, non c’è, è assente o arriva enormemente in ritardo. Né più né meno di chi lo ha preceduto. Si riunisce per parlare di Tav (solo dopo l’aggravarsi della situazione di tensione degli ultimi giorni) e ribadire la linea dura, mentre di altre questioni continua a non parlare. Un esempio? Lo scandalo di Trenitalia e della soppressione dei treni notte. Sì, perché mentre Luca Abbà cadeva dal traliccio, Oliviero Cassini è sceso dalla torre del binario 21 della stazione di Milano. Ci viveva da oltre 2 mesi, in cui il governo non ha speso una sola parola. Oliviero è tornato dalla sua famiglia, da sua figlia che lo aspettava da 79 giorni, ma la lotta non si arresta e sulla torre c’è ancora Stanislao e adesso c’è anche Rocco.

E sotto la torre tutti gli altri colleghi, che hanno perso il loro lavoro, vittime di tagli che non hanno logica, che stridono con i movimenti di denaro e gli stanziamenti relativi alle infrastrutture ferroviarie. E allora, in questo lembo d’Italia, a distanza di circa 200 km ci sono due diritti fondamentali che resistono. O meglio sono le parti fondanti del principio primario della nostra Repubblica, sancito dall’articolo 1 della nostra Costituzione, che dice: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.

L’ho sentito naufragare mille volte questo articolo, l’ho visto incazzarsi, protestare, chiedere spiegazioni e rispetto, nelle strade, nelle campagne, nelle fabbriche, nei cantieri, sopra un’impalcatura, su una gru, sulla torre di una ferrovia, in tutti quei luoghi nei quali il lavoro viene umiliato, stracciato, rapinato, sottratto, sacrificato da chi, oggi, può decidere di mettere i propri interessi particolari e il proprio profitto davanti alla giustizia sociale, ai diritti, alle vite delle persone. Diritto al lavoro, che oggi è diventato concessione, che ha contorni sempre più annacquati, incerti, difese sempre meno solide, sempre più pericolanti. E la sovranità popolare? Di quella non si parla quasi mai, come se la seconda parte dell’articolo 1 non esistesse. Forse perché la sovranità è qualcosa che in questo Paese di fatto viene negata da tempo.

C’è bisogno di vederla cadere  giù da un traliccio, con le sembianze di un ragazzo, per accorgersi che l’abbiamo smarrita, che non riesce ad appartenerci. C’è bisogno di irritarsi di fronte a chi etichetta un movimento come eversivo o affetto dal rischio di pericolose derive terroristiche per capire quanto il potere abbia paura oggi della sovranità del popolo e come utilizzi subito  la calunnia e la generalizzazione, l’infamia e l’etichetta facile per nascondere la verità e drogare il consenso.

L’Italia, nel sonno colpevole di questi ultimi 20 anni, ha dimenticato cosa voglia dire difendere un diritto, ha dimenticato cosa voglia dire democrazia. Si è affidata all’inganno narcotizzante spruzzato sugli occhi della gente da buona parte dei media e da un mondo politico orrendamente appiattito su un livello di imbarazzante indistinguibilità. Adesso è costretta a svegliarsi, perché le tasche si svuotano, l’angoscia e le disuguaglianze si ingrassano. E bisogna darsi tutti una smossa, stringere i pugni e lottare. Perché ogni giorno c’è un ragazzo che cade e un combattente che ha bisogno di riposare un attimo.

Massimiliano Perna –ilmegafono.org