La legge 161/2017 ha esteso anche ai reati di corruzione, le misure di prevenzione patrimoniale previste dal codice antimafia. Una decisione che suscita una domanda sincera: dove finisce la libertà del cittadino e dove inizia la giustizia? Il problema non è banale. Si tratta di stabilire se e quando la giustizia, le indagini, il lavoro delle procure abbiano e debbano avere dei limiti. La risposta è citata in Costituzione: l’art. 13 della stessa precisa che «la libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge».

Il principio è sacrosanto. Ma quali sono i limiti imposti dalla legge? Andando sul piano, se volete, procedurale esiste la presunzione di innocenza, riconosciuta nel diritto penale e collegata all’articolo 2 della Costituzione (in virtù del dovere di solidarietà sociale e della funzione della Repubblica di riconoscere i diritti oggettivi di ciascuno) e all’articolo 27. Di fronte a questi enunciati di principio sacrosanti (nonostante le condanne di piazza cui quotidianamente assistiamo) passa la storia con la sua consueta complessità.

Come conciliare i due punti di cui sopra con la lotta (sacrosanta anch’essa) al terrorismo, alla mafia e alla corruzione? Certo, si rischia di scoperchiare il vaso di Pandora, ma l’esercizio intellettuale fa bene anche alla coscienza civica.

Traduciamolo con un esempio. La legge 161/2017 include nel codice antimafia la possibilità delle misure di sicurezza patrimoniali anche per i reati di corruzione (art. 4 c.1, i-bis del codice stesso). In altre parole, senza che ci sia una sentenza definitiva passata in giudicato, si può procedere a misure cautelari anche patrimoniali. Il che, da una parte, sembra logico: c’è stato un episodio corruttivo, tendenzialmente attinente al patrimonio, ed è proprio quel patrimonio che si prova ad aggredire. Dall’altra parte però e alla luce di quanto sopra, sembra effettivamente un provvedimento particolarmente duro e dalla dubbia costituzionalità.

Inoltre, se l’associazione mafiosa in sé richiama l’idea di delitti efferati e sollecita in modo particolare la nostra sensibilità, pensare di applicare misure particolarmente gravose anche per reati corruttivi (per esempio il sequestro dei beni per cui basta anche che ci siano sufficienti indizi – con buona pace degli interpreti – per procedere) fa specie. La fantasia potrebbe offrirci innumerevoli esempi di situazioni in cui ci si trova indebitamente con i beni sequestrati magari senza aver commesso alcun reato.

La questione è tremendamente annosa e, solo per citare qualche esempio, anche Raffaele Cantone definiva inutile questa modifica al codice antimafia introdotta dalla legge. Chi scrive vive da sempre le aspirazioni forcaiole delle piazze con angoscia e crede che questo sia solo l’ennesimo spauracchio agitato di fronte al popolo arringato. Sul tema specifico bisogna chiedersi piuttosto quanto siano efficaci le norme anziché continuare a produrne creando un leviatano immobile. In realtà, per certi temi basterebbero un concreto buon senso e una solida buona fede, ma sarebbe banale percorrere questa strada. Certo è che, nella platea del benaltrismo, potremmo anche preoccuparci di tali questioni un tantino spinose eppure determinanti. Giusto per esercitare spirito critico di cittadinanza.

Penna Bianca -ilmegafono.org