“Una battaglia giudiziaria da continuare, per sostenere il diritto dei rom alla casa”. Così, Fondazione Casa della carità e Sicet si sono espresse in merito alla recente sentenza con cui il Tar della Lombardia ha rigettato il ricorso presentato da N.H., ex residente del campo di via Idro, la quale chiedeva che il provvedimento di sgombero dell’insediamento, dove abitava regolarmente dal 1996, fosse equiparato allo sfratto in termini di punteggio per l’assegnazione della casa popolare.
Secondo Casa della carità e Sicet, che insieme a European Roma Rights Centre hanno supportato il ricorso, la sentenza rappresenta infatti uno stop all’effettivo superamento dei campi e a una reale inclusione sociale e abitativa dei rom, sancita anche dalle “Linee guida Rom, Sinti e Caminanti” approvate nel 2012 dall’allora Giunta Pisapia.
“Rispettiamo la sentenza del Tar, ma non ne condividiamo le valutazioni nel merito. Riconoscere per le famiglie sgomberate solo il punteggio di ‘sistemazione abitativa impropria’ è l’interpretazione, restrittiva ed ideologica, che il Comune ha adottato fino ad ora. Invece, equiparare lo sgombero di un campo a un provvedimento amministrativo diretto al rilascio dell’alloggio non è illegittimo, visto che le famiglie di via Idro sono state forzosamente allontanate dalle loro abitazioni in base a una ordinanza sindacale”, questa è la posizione del Sicet.
La chiusura di via Idro, un campo comunale autorizzato, dove dal 1989 erano regolarmente residenti decine di famiglie, era stata decisa alla fine del 2015 proprio in attuazione di quelle linee guida che, tra le altre cose, prevedevano “l’accesso ordinario all’edilizia residenziale pubblica, secondo le regole in vigore” per raggiungere l’obiettivo di superare “i campi come soluzione abitativa a tempo indeterminato, attraverso percorsi di inclusione e convivenza”.
Proprio in virtù di questi principi e dal momento che le famiglie sgomberate dal campo di via Idro non erano lì abusivamente, ma erano regolarmente residenti, Casa della carità e Sicet hanno ritenuto legittimo il ricorso di N.H., scegliendo di sostenerla insieme a European Roma Rights Centre.
“Il superamento dei campi, sostenuto sia a livello comunale che nazionale, non è in discussione. Esso però richiede un accompagnamento delle famiglie verso soluzioni abitative stabili, altrimenti la chiusura dei campi significa far diventare nomadi persone che non lo erano o rendere permanenti soluzioni che invece dovrebbero essere temporanee”, dice in proposito don Virginio Colmegna, presidente della Casa della carità.
Secondo la Fondazione, in un momento in cui tanti sono tornati a parlare della chiusura dei campi, dare una reale alternativa significherebbe, per esempio, l’inserimento nel regime delle case popolari di quei nuclei a cui, come nel caso di via Idro, un Comune aveva assegnato a tempo indeterminato un’area ad uso abitativo. In casi come questo, l’equiparazione dello sgombero di un campo regolare allo sfratto rappresenterebbe uno strumento importante per promuovere l’inclusione abitativa delle famiglie che lì avevano una vera e propria casa.
Redazione Sonda.life -ilmegafono.org
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