Sono settantadue quest’anno. Il periodo storico della Resistenza comincia a essere un po’ più lontano nel tempo, mentre il ricordo di quello che è stato, di ciò che ha significato per la nascita di questo Paese e della sua democrazia è sempre vivo grazie a quei pochi che ancora possono raccontarlo, possono testimoniare cosa si è vissuto, esortarci a non dimenticare. Eppure in Italia ogni anno, il 25 aprile, la Festa della Liberazione, è una data che produce contrasti. Non è mai riuscita ad essere una festa unitaria, nazionale, qualcosa che riunisca tutti nello spirito e nell’orgoglio delle origini della nostra Repubblica.
Il 25 aprile, soprattutto negli ultimi dieci-quindici anni, è stato costretto a difendersi non solo dagli oltraggi dei nemici di sempre, quelli che sporcano la memoria commemorando gli scarti infami della storia o ostacolando strumentalmente le celebrazioni della Liberazione, ma anche dal fuoco amico di chi è incapace di vivere il senso di un giorno importante senza marchiarlo con l’autolesionismo di retoriche ideologiche e polemiche fuori luogo. Partiamo dai primi, dai nemici della Resistenza, che sono sempre i soliti e che hanno due fisionomie: una evidente, sfacciata, netta, l’altra invece subdola, nascosta, ipocrita.
È di questi giorni la notizia della nuova commemorazione dei caduti della Repubblica Sociale Italiana organizzata, per il 25 aprile, da Casa Pound e dagli altri fanatici nostalgici di estrema destra presso il campo 10 del cimitero Maggiore di Milano. Una vergogna, un’onta per la democrazia nel giorno della sua festa, che è festa di liberazione proprio da quei criminali, prodotti di una dittatura feroce e corresponsabile di milioni di morti, ai quali i novelli fascisti si rifanno. Non è stato possibile impedirlo, aveva detto il sindaco Sala, dopo aver sentito prefetto e questore di Milano. “Non si può vietare l’accesso al cimitero”, sosteneva, ribadendo inutilmente la contrarietà del Comune a questa parata.
Nell’epoca delle deroghe di ogni sorta, in nome della sicurezza e della difesa dal potenziale nemico chiamato terrorismo, qualcuno, dalle istituzioni, volevano farci credere che non si possa vietare per un giorno l’ingresso a chi viola la Costituzione e ne rinnega i valori che la fondano. Ci sono venuti a dire che questo Stato si è arreso definitivamente, in quanto incapace di vigilare dentro un cimitero, di impedire saluti romani, slogan, simboli che non sono ammissibili e che andrebbero vietati applicando la legge. Sembravamo costretti a rassegnarci a un altro 25 aprile sporcato dal lerciume di gruppi di fanatici che andranno a lacrimare sulle tombe di chi ha combattuto contro l’Italia, al fianco dei nazisti e di Hitler.
Per fortuna, la protesta degli antifascisti milanesi e dell’Anpi, pronti a una contro-iniziativa al cimitero nello stesso giorno e nella stessa ora ha spinto le autorità (prefetto e questore) a vietare la manifestazione, a dimostrazione che il divieto era ed è sempre possibile, al contrario di quanto sostenuto dal sindaco Sala. Una piccola vittoria che, ci si augura, possa ripetersi anche di fronte alle tante altre orribili manifestazioni che si terranno ovunque, da Salò a Monza così come in tanti altri luoghi del Paese, o meglio “non-luoghi”, perché sono aree che in quelle ore saranno invase e scippate alla nostra Repubblica con il consenso di uno Stato molle.
Lo stesso che, oltre alla vacuità di una legge che rimane sempre inapplicata, consente che appartenenti alle forze armate, riuniti in associazioni che comprendono militari ed ex militari, partecipino a iniziative che rinnegano le istituzioni repubblicane e i principi sanciti dalla Costituzione a cui l’esercito italiano dovrebbe ispirarsi. Come è possibile infatti che, come avvenuto ad esempio lo scorso anno a Milano, tra i partecipanti a manifestazioni simili si vedano spesso paracadutisti, berretti rossi dell’esercito, ex militari in pensione (a cui la pensione viene corrisposta dallo Stato e dai contribuenti), oltre ovviamente a esponenti politici delle forze di estrema destra?
Questo è il vulnus che, lo ripeteremo fino allo sfinimento, deriva da una imbarazzante debolezza politica e legislativa. Accanto a ciò, vi è la seconda tipologia di nemici, quelli subdoli, quelli che ricoprono ruoli istituzionali, come sindaci, prefetti e altri che, anche quest’anno, fanno notizia provando a impedire i cortei di celebrazione della festa di Liberazione con scuse ridicole o a negare l’esecuzione di Bella Ciao, cosa che peraltro avviene anche in alcune scuole su richiesta (assurda) dei genitori. Siamo l’antitesi della memoria e dell’orgoglio nazionale per le nostre radici capaci di guadagnarsi libertà e vita in mezzo al sangue e al fango della dittatura e delle trincee. E la cosa peggiore è che, chi dovrebbe compattarsi per far fronte a questi vili assalti alla memoria, finisce per fare esattamente il gioco dei nemici.
La retorica ideologica di una parte della sinistra e di chi da sempre si mostra fedele al 25 aprile è diventata pesante, stucchevole e ridicola. In alcuni casi, essa ripropone le stesse logiche liberticide contro cui i partigiani di ogni luogo e idea politica hanno combattuto. Il vecchio vizio di cercare di far diventare questa ricorrenza una festa di una sola parte e non di tutti coloro che hanno combattuto per la Liberazione è più nocivo e pericoloso di chi questa ricorrenza la nega costantemente. Non comprendere che la lotta per la libertà dal nazifascismo è stata una lotta di popolo e di gente dalle tante anime significa essere senza memoria. Sono vuoti di memoria quelli che portano a confondere le cose, a trasformare un momento che celebra un pezzo di storia in una resa dei conti.
Ecco perché trovo ridicola e inappropriata la polemica sulla brigata ebraica, da entrambe le parti. Il clima di intimidazione, che ho avuto modo di respirare nel corteo dello scorso anno, è una ferita violenta sul 25 aprile. L’idea che un gruppo che ha dato un contributo importante alla lotta contro il nazifascismo debba essere scortato dentro un corteo che ricorda quella lotta, per il rischio di contestazioni e insulti, è assurda. Non ha senso. Le critiche, anche feroci, alla politica israeliana e le ragioni della causa palestinese dovrebbero essere esposte in altri contesti, non certo in un corteo pacifico a cui, chiunque abbia combattuto contro il nazifascismo, chiunque si riveda nei valori antifascisti, ha il sacrosanto diritto di partecipare e di farlo in maniera libera e tranquilla.
Allo stesso modo, la risposta della comunità ebraica romana è acida e va troppo oltre, quando afferma che l’Anpi non rappresenta più i veri partigiani, dimenticando che l’Anpi (che a Milano peraltro ha preso le difese della brigata ebraica) svolge un lavoro costante, quotidiano di memoria e di vigilanza, mentre altri sonnecchiano stanchi. A partire da quel Pd che oggi entra a piè pari in una polemica maligna, scegliendo di schierarsi invece di mediare. La verità è che tutti dovrebbero fare un passo indietro, rispettando il senso di questa ricorrenza. Perché aver trasformato il 25 aprile in un teatro di scontro politico è la dimostrazione di come, da questa parte della barricata, si sia smarrita la bussola e sia scoppiato il caos.
Il 25 aprile dovrebbe rimanere un momento di unità e di pace ritrovata. Un momento per riflettere insieme sulla nostra storia, su chi si è sacrificato per la nostra libertà e sul valore vivo della memoria, che siamo chiamati ancora a difendere, in un mondo nel quale nuovi fascismi prendono vigore e nuove terribili atrocità si compiono ogni giorno. Tutto il resto è solo un regalo ai nemici, soltanto un vuoto a perdere e un insopportabile vuoto di memoria.
Massimiliano Perna -ilmegafono.org
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