Una volta era la patria di uno stereotipo fra i più utilizzati, nato in modo un po’ casuale. “La casalinga di Voghera”, dalla metà degli anni ’60, è stata una delle tipizzazioni più conosciute e usate in ambito giornalistico italiano. Ma le mode passano e i luoghi cambiano. Oggi Voghera ha trovato un’altra finestra di notorietà, meno divertente e molto più inquietante. Pochi giorni fa, infatti, il celebre comune in provincia di Pavia è balzato agli onori della cronaca per una maxi operazione coordinata e condotta, in tutta Italia, dai carabinieri di Reggio Calabria su input della Direzione distrettuale antimafia del capoluogo reggino. Oltre quaranta gli arresti e numerosi i sequestri da sud a nord, dalla Calabria alla Lombardia, passando per la Capitale e per la Sardegna.
Un’operazione che conclude più di due anni di indagini, avviate dai carabinieri di Gioia Tauro e portate avanti anche grazie al contributo dei collaboratori di giustizia. Dall’inchiesta emerge un quadro significativo della mappa criminale italiana, smentendo ancora una volta (qualora ve ne fosse bisogno) la presunta “illibatezza” del nord in materia di infiltrazioni mafiose. In particolare, oggetto dell’operazione sono state le cosche Chindamo-Ferrentino e Lamari che, nel pavese e nel comasco, gestiscono aziende, terreni, ville, depositi di droga. La Lombardia, dunque, è protagonista assoluta, con il coinvolgimento di almeno cinque province in questa maxi-retata (Milano, Como, Varese, Monza-Brianza e appunto Pavia).
Voghera, che in apparenza può essere ritenuta una città tranquilla, si è rivelata invece un inferno, uno dei luoghi più battuti dalle ‘ndrine. Ben otto, infatti, gli arrestati nel comune pavese. Tra loro spicca il nome di Marco Ferrentino, presunto reggente della cosca Chindamo-Ferrentino di Laureana di Borrello (RC) e nipote del boss ergastolano Antonio Chindamo. Non solo “rampolli di famiglia”: tra gli arrestati spuntano anche altre figure legate alla ‘ndrangheta, come l’imprenditore Giuseppe Dimasi, piuttosto noto a Voghera, e suo fratello Pasquale. Tre le imprese poste sotto sequestro nella città: Dimasi Costruzioni (dello stesso Giuseppe), Dima Costruzioni srl e Dimafer di Francesco Ferrentino detto u zassu, anch’egli arrestato.
A queste attività si aggiungono gli altri beni (una decina tra aziende edili, commerciali, agricole, supermercati e persino una squadra di calcio, un’edicola e un’abitazione) sequestrati in tutta Italia nel corso dell’operazione, per un valore complessivo di oltre 30 milioni di euro. Oltre alla fitta rete di affari sparsi soprattutto in Lombardia (ricordiamo che è la sesta regione in Italia per beni confiscati alle mafie, così come la provincia di Pavia è al sesto posto in Lombardia), si svela un clima di oppressione e violenza, con pestaggi, regolamenti di conti, sequestri di persona e altro ancora.
D’altra parte, i reati contestati ai destinatari dei provvedimenti di fermo sono piuttosto vari e pesanti: associazione per delinquere di stampo mafioso, concorso esterno in associazione mafiosa, estorsione, traffico e detenzione di sostanze stupefacenti, danneggiamenti, lesioni personali gravi, frode sportiva, intestazione fittizia di beni e incendio, porto abusivo d’armi da fuoco. La droga, ovviamente, rimane uno degli elementi più importanti per la ‘ndrangheta, per il suo radicamento nel territorio e per l’edificazione del suo sistema di potere. Le attività imprenditoriali, infatti, a quanto pare sarebbero state in gran parte finalizzate a riciclare i proventi del traffico di droga.
Ancora una volta, dunque, il nord si sveglia e scopre di avere la criminalità in casa. Una criminalità che comanda, opprime, condiziona, gestisce. Dai grandi circuiti economici della metropoli milanese fino alle province lombarde e ai loro confini più periferici, dai grandi eventi alle slot machine, dal movimento terra alle costruzioni: le inchieste che negli anni hanno scoperchiato il potere criminale in Lombardia e nel nord Italia hanno dipinto una realtà ben diversa da quella immaginata dalla gran parte dei cittadini, che continuano a ignorare, a non sentire il problema come qualcosa che li riguardi, a incorniciare il fenomeno in una dimensione ridotta o di pertinenza esclusivamente meridionale.
Forse è ora di prendere coscienza e svegliarsi, perché il problema del nord Italia, ancor più che il radicamento mafioso, è la scarsa presenza di fronti di resistenza e di lotta antimafiosa. E questa è una mancanza assai pericolosa.
Redazione –ilmegafono.org
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