C’è sempre un punto di non ritorno nella storia e nella vita di un Paese e, soprattutto, esiste un punto di non ritorno nella memoria collettiva di un Popolo. Ho sempre creduto che fosse così, ma forse mi sono sbagliato, non è la prima volta e sicuramente non sarà nemmeno l’ultima. Credevo che questo Paese avesse visto già tutto il peggio durante il ventennio fascista.Invece troppi Cittadini italiani hanno accettato di tutto, colpevolmente: dalla strategia della tensione, alle bombe nelle piazze e sui treni, alle stazioni e sugli aerei. Sono gli stessi Cittadini che hanno lasciato agli altri il peso del rifiuto e della lotta a un sistema corrotto e corruttore, in troppi momenti fascista e mafioso.

Loro, intanto, hanno curato e coltivato il loro giardino. Hanno chiuso gli occhi davanti a tutto, davanti allo scempio quotidiano della cultura, della scuola, della sanità, dell’amministrazione pubblica, delle proprie fabbriche e dei diritti civili, quello che rende viva una Democrazia.  Hanno chiuso gli occhi davanti alle porcherie di quarant’anni di potere democristiano, hanno chiuso gli occhi davanti alle stragi fasciste e mafiose. Poi, un bel giorno di tanti anni fa, questi signori hanno messo il vestito della festa, lucidato i gioielli di famiglia e sono corsi in ginocchio a rendere omaggio al nuovo imperatore di Arcore e ai suoi stallieri.

Ma venerare l’imperatore non bastava, bisogna dare importanza e fiducia anche agli sgherri padani. Ecco, la corte era al completo: l’imperatore, gli stallieri e gli sgherri. Per mantenere in piedi questo letamaio serviva però una nutrita schiera di felici giullari, capaci di fare il controcanto all’imperatore e reggere il suo gioco. Perché sapevano benissimo che se il gioco finiva per l’imperatore loro sarebbero tornati a essere quello che erano sempre stati: il nulla.

E, per fare questo, si erano organizzati per bene: avevano scelto i loro caporioni, i loro barbari sognanti, le loro pitonesse. E così erano partiti alla guerra contro la magistratura, una parte sola però: quella che aveva l’ardire di indagare sull’imperatore. Contro la stampa, anche qui una parte sola: quella comunista e forcaiola. Contro gli zingari, gli immigrati, i clandestini, contro i cittadini italiani che non hanno la pelle bianca, soprattutto se poi diventavano anche Ministri della Repubblica anche se di un governo vergognoso e nato sulla polvere. Perché è l’insulto che ha tenuto insieme l’imperatore e gli stallieri, gli sgherri e i giullari. Loro, i nuovi moderati, bianchi e padani, fascisti e puttanieri conoscono solo questo linguaggio: l’insulto e il disprezzo.

Ma c’era il famoso punto di non ritorno e loro stavano già imboccando questa strada. Ma i soccorsi arrivano sempre, come nei film western di John Wayne: oggi c’è il nuovo, il cambiamento. Strano cambiamento, strano “nuovo”. Strano perché in questo governo sono presenti, tutte insieme, le componenti malate di questo Paese: la connivenza di Alfano, l’affarismo di uomini come Verdini, le clientele, le voci che contano di Confindustria e delle Banche.

È presente la componente aggressiva e conservatrice del mondo cattolico. Il tutto guardato con benevolenza dalla grande stampa che conta e che fa ancora opinione.  Non mi piacciono i maghi, mi spaventano gli uomini soli al comando, non mi piacciono i giri di parole, non mi piace chi tiene un piede in mezzo alla gente e l’altro nel palazzo. Non mi piacciono le mezze misure, le larghe intese, il dire e non dire, non mi piacciono le spallate prima date e seguite poi da attestati di stima ed i ringraziamenti. Non mi piace l’arroganza di chi si presenta come la vergine pura e gioca con l’immagine e la comunicazione. Il Cavaliere l’ha fatto vent’anni prima e i risultati li conosciamo tutti.

La Repubblica e la sua Costituzione, fra le più belle e avanzate del mondo e nata dalla Lotta di Resistenza, sono calpestate senza nessun senso del pudore, ogni giorno di più. Lo sappiamo tutti che il problema e la palla al piede di questo Paese non sono rappresentati dalla Costituzione, ma semmai dalla volontà di ignorarla e non applicarla. I mali di questo Paese hanno altri nomi, altre facce: si chiamano corruzione e tangenti, mafia, ‘ndrangheta e camorra, criminalità, clientelismo, affarismo, evasione fiscale. Eppure si guarda alle modifiche Costituzionali come alla grande medicina.

Il tempo è galantuomo, diceva mio nonno Enrico. Bel nome Enrico, fa pensare a qualcosa e a qualcuno di diverso, di migliore. Un giorno qualcuno si accorgerà come può essere pericoloso “parlare bene”, e capirà. Forse. Noi saremo sempre qui, da qualche parte in qualche angolo di una strada, di una piazza, di un teatro. Testardi, piantagrane e un po’ rompicoglioni.

Maurizio Anelli (Sonda.Life) –ilmegafono.org