Quella voglia, latente e malcelata, di disprezzo razzista e xenofobo. Quell’odio tenuto sempre nelle tasche e tirato fuori alla prima occasione, quel desiderio di ribadire la propria superiorità etnica e razziale nei confronti di chi è diverso. Ma diverso da chi, e da che cosa? L’Italia è anche questa, non possiamo nascondercelo. Nascondere questo lato della nostra faccia aiuta forse a mettere in pace la propria coscienza o, in modo molto più pilatesco, a lavarsene le mani. E mentre ci laviamo le mani pensiamo che no, noi non siamo razzisti. Altri magari lo sono, ma noi no.
E dopo esserci lavati la mani siamo pronti ad uscire per una serata con gli amici, magari davanti ad uno schermo per vedere la partita di calcio del momento o per un aperitivo. Non c’è nulla di male nell’aperitivo con gli amici, non c’è nulla di male nemmeno nel guardare la partita di calcio del momento insieme agli stessi amici, l’importante è ricordarsi che qualche minuto prima abbiamo scelto di lavarci le mani.
Tanti italiani si lavarono le mani anche nel 1938 quando furono promulgate le Leggi Razziali e si cantava “Faccetta Nera”. Tanti italiani si lavarono ancora le mani quando, tanti anni dopo, uno dei firmatari di quelle Leggi infami si siederà in Parlamento per restarvi a lungo: si chiamava Giorgio Almirante.
Tanti italiani si lavarono le mani quando negli anni del miracolo economico i treni che venivano dal Sud dell’Italia scaricavano nelle stazioni del Nord migliaia di emigranti che andavano a cercare lavoro e fortuna nelle fabbriche di Milano, di Torino, di Genova. E, quando uscivano da quelle fabbriche e giravano per la città in cerca di una casa in affitto, trovavano i cartelli con su scritto “Non si affitta ai meridionali”.
Tanti italiani si lavano le mani quando nelle calde sere delle estati italiane qualche “nero” muore sfinito dalla fatica nei campi dove si raccolgono i pomodori per una paga che non basta a mettere insieme un pasto decente. Quel lavoro è gestito dai “Caporali” delle mafie del posto, ma noi facciamo finta di non saperlo e poi i pomodori qualcuno deve pure raccoglierli.
Tanti italiani si lavarono le mani quando un rozzo uomo politico definì “Orango” una donna di colore che aveva osato diventare Ministro della Repubblica. In tanti si affrettarono a dire che in fin dei conti era una battuta. Invece era un segnale chiarissimo, l’ennesimo che una parte consistente della classe politica e dirigente di questo Paese lanciava al Paese stesso: il segnale che questo Paese non deve accettare la presenza di diversi dall’italico sangue.
Certo, esiste un’altra Italia. Esiste un‘Italia solidale e accogliente, esistono intere comunità dove l’umana intelligenza abita ancora: Lampedusa e la sua gente sono uno degli esempi più belli in questo senso. Ma forse comincia a diventare una minoranza che a fatica trova spazio. E allora “sporchiamole” queste nostre mani, sporchiamole di fatica e sudore, tocchiamola la terra che abitiamo, e stringiamole le mani di chi viene a casa nostra.
Quando ce le saremo “sporcate” in questo modo allora anche l’aperitivo con gli amici e la partita di calcio del momento avranno un sapore migliore.
Maurizio Anelli –ilmegafono.org
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