Siamo ancora agli inizi della campagna relativa al referendum costituzionale di ottobre, nel quale si vota per dichiararsi favorevoli (Sì) o contrari (No) alla riforma della Costituzione disegnata dal governo e dal parlamento. Se il buongiorno si vede dal mattino, prepariamoci alla solita caciara politica, nella quale slogan, accuse, litigi e arroganza prenderanno il sopravvento sugli argomenti, sui punti oggetto di discussione, sui presunti vantaggi o rischi che tale riforma potrebbe comportare nel caso di approvazione e, quindi, di vittoria del Sì. Ricordiamoci bene di questi giorni di maggio, perché serviranno a rinfrescare la memoria a chi oggi utilizza la comunicazione per capovolgere le responsabilità di un clima già abbastanza avvelenato.
Ricordiamoci le parole della ministra Boschi, quando qualcuno accuserà il fronte opposto di avere politicizzato il referendum, di averlo trasformato in un’azione contro Renzi, di aver negato una riforma giusta che potesse modernizzare il Paese pur di fermare il governo. Ricordiamoci anche delle parole dello stesso Renzi, della sua promessa di dimissioni in caso di affermazione del No, che ha il sapore di un richiamo alla compattezza, di un avvertimento nei confronti degli alleati e della minoranza del proprio partito, che guarda caso, nonostante le critiche e le proteste, alla fine ha obbedito e votato la riforma in Parlamento.
Ricordiamoci, però, di rispondere nel merito, di non trasformare, anche da questa parte, il dibattito in una corrida, in una corsa all’insulto che non aiuta i cittadini a capire. Bisogna spiegare per bene alla gente quali rischi si corrono con la vittoria del Sì, far comprendere i pericoli di un sistema che rinuncia alla doppia garanzia del bicameralismo (e su questo si poteva anche discutere) e l’appesantisce con una legge elettorale che premia largamente una maggioranza, togliendo di fatto alle minoranze qualsiasi potere di veto. In poche parole, avremo una sola camera, con maggioranza governativa compatta, granitica, un premier con poteri ancora più ampi. In nome della stabilità si rischia di consegnare al futuro dell’Italia e nelle mani di uomini e partiti che verranno (non solo Renzi) un potere assoluto, con pochi contraltari e quasi nessun ostacolo.
Occupiamoci di far capire questo, cioè che la radice democratica della Costituzione è messa a serio rischio. Lasciamo invece che sia il governo a usare la comunicazione per accusare, etichettare, denigrare. E se la Boschi attacca con parole farneticanti, evitiamo di usare epiteti sessisti. Ma anche di tirare in ballo la questione paterna di Banca Etruria. Per rispondere è sufficiente ricordarle che il referendum è uno strumento di democrazia diretta che la Costituzione, a cui il suo governo è evidentemente allergico, riconosce.
Uno strumento che chiama in causa i cittadini su una scelta di cambiamento dell’assetto costituzionale che da 70 anni garantisce la democrazia in un Paese che ha attraversato momenti oscuri e pericolosi, ma che alla fine ha avuto sempre la possibilità di cambiare, di far cadere chi provava a inseguire derive autoritarie. Nei referendum è la cittadinanza tutta che si esprime, non le alleanze partitiche, soprattutto quelle che non ci sono, non sono né possibili né auspicabili.
Pensare che il fatto che Casa Pound voti No, esattamente come l’Anpi, sia segno di una vicinanza o di una convergenza perversa, è da ignoranti oltre che assolutamente pretestuosa. Anche perché ciascuno, in un referendum, vota per motivi che possono essere diversi. Casa Pound vota No contro Renzi o per chissà quale disegno di partito, mentre i cittadini, i costituzionalisti, l’Anpi, i comitati per la Costituzione lo fanno per difendere la Carta Costituzionale e per respingere una riforma che presenta rischi seri per il futuro democratico dell’Italia. Ecco perché le parole della Boschi, che appaiono come un tentativo infantile di sporcare il fronte opposto, vanno respinte al mittente, semplicemente mettendone in evidenza la pochezza e magari facendo notare alla stessa che la sua uscita è particolarmente imbarazzante soprattutto perché proviene da una rappresentante di punta di questo governo.
Per quale ragione? Perché è un governo che, non solo al referendum, ma nella gestione del Paese e della vita degli italiani vota, governa, va a braccetto o flirta con alleati che, se non sono proprio come Casa Pound, certo non hanno un bel biglietto da visita. Dobbiamo fare il nome di Verdini (o di qualche altro), signora ministra, per rinfrescarle la memoria? Oppure, una volta che Lei e il suo governo abbiate saziato la vostra voglia di pronunciare assurdità e provocazioni, possiamo cominciare finalmente a confrontarci sui temi, per informare correttamente gli italiani e, per una volta, evitare di trasformare un momento serissimo e delicato per l’Italia nella solita, caotica disputa da balera?
Massimiliano Perna –ilmegafono.org
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