Lo scorso 31 marzo, il ministro dello Sviluppo Economico, Federica Guidi, ha dato le dimissioni a causa delle intercettazioni con il suo compagno, Gianluca Gemelli, nelle quali gli garantiva il via libera a un emendamento alla Legge di Stabilità che andava incontro ai suoi interessi imprenditoriali. Nello specifico, si tratta di un emendamento approvato nel dicembre del 2014, con il quale veniva autorizzato il progetto di estrazione di petrolio Tempa Rossa, sul quale appunto Gemelli aveva forti interessi, poiché secondo l’accusa le sue aziende avrebbero guadagnato circa due milioni e mezzo di sub appalti. Ma da queste intercettazioni viene fuori un altro nome della politica italiana, quello del ministro Maria Elena Boschi, che sembrava fosse d’accordo con il progetto.
Lo scopo delle compagnie era quello di esportare il petrolio estratto in Lucania e per far questo era necessario prolungare il porto di Taranto, cioè la sua banchina, per consentire alle petroliere di potersi rifornire di greggio e, inoltre, cosa ancora più importante, era indispensabile rimuovere l’avversione delle comunità locali che, per la precisione, sono Taranto e la Regione Puglia del presidente Michele Emiliano. Sembra, infatti, che la stesura dell’emendamento fosse stata affidata all’ufficio legislativo, dunque a uomini di Renzi; un emendamento cucito proprio su misura per le esigenze di Shell e Total, che lo stesso premier rivendica con forza, così come l’idea di sbloccare le opere pubbliche e private.
Questo fatto clamoroso mette in prima pagina il referendum del 17 aprile, con il mondo ambientalista che vede nelle dimissioni del ministro Guidi non solo la reale possibilità di raggiungere il quorum, ma anche l’occasione per allargare il dibattito sul futuro energetico del nostro Paese e ribadire lo stretto legame di Renzi con le lobby del petrolio.
Enzo di Salvatore, del comitato NoTriv, vede lontano. “L’indagine su Eni e le dimissioni della Guidi avranno un impatto inevitabile sul referendum. Per chi dice che non c’è un collegamento con il Sì, bisogna ricordare che nei sei quesiti iniziali, il quarto si occupava proprio di abrogare le procedure semplificate per le autorizzazioni alle opere strumentali allo sfruttamento degli idrocarburi. L’affaire Guidi – continua – mostra che le ragioni del No e dell’astensione non sono motivate da perdita dei posti di lavoro o di autosufficienza energetica. Celano una tutela d’interessi economici particolari”.
Non sono mancati gli attacchi da parte dei vari partiti politici. Secondo i Verdi, il progetto Tempa Rossa non ha alcun interesse nazionale, anzi provoca solo danni all’ambiente, attuando una politica di colonizzazione delle risorse naturali della Basilicata e lasciando così inquinamento e rifiuti petroliferi ai lucani e ai tarantini. “È incomprensibile – dice il presidente dei Verdi, Angelo Bonelli – come questa infrastruttura sia stata classificata di interesse strategico nazionale dal momento che tutto l’olio estratto verrà esportato. L’estrazione del petrolio Tempa Rossa conviene solo a Total. I costi ambientali ed economici per le comunità locali sono drammatici”.
Anche il presidente della Puglia prende le distanze dal premier, poiché sostiene che abbia commesso un grande errore nel confondere un’opera privata con un’opera pubblica e nel consentire alle opere private di non consultarsi con le Regioni e quindi non negoziare neanche le compensazioni ambientali. Inoltre, tornando alla volontà di Renzi di voler sbloccare le opere pubbliche, Emiliano replica: “Questo va benissimo per un’opera pubblica non impattante, ma non per un’opera come Tempa Rossa”.
Anche il Movimento 5 Stelle, infine, ha detto la sua sulla questione, presentando una mozione di sfiducia al governo parlando di “un comitato d’affari incompatibile con il suo incarico e un premier dalla condotta gravemente omissiva”. Inoltre, nel testo della mozione è possibile leggere: “Nel corso del suo mandato il governo ha adottato numerosi provvedimenti rivelatisi non solo idonei a configurare i profili tipici del conflitto di interesse in capo a esponenti governativi, ma funzionali a esigenze delle maggiori lobby economiche del Paese, quali quelle bancarie, finanziarie e petrolifere”.
Intanto, negli scorsi giorni è stata ascoltata la ministra Boschi, in quanto persona informata sui fatti. Una convocazione ritenuta dai pm un atto necessario. Al centro dell’audizione, l’emendamento approvato in legge di stabilità che sbloccava interventi strutturali legati alle estrazioni petrolifere in Val d’Agri, nel potentino. Inchiesta intrecciata, dunque, con il caso Guidi, ascoltata anche lei come persona informata sui fatti. Fonti vicine all’ex ministro rivelano che abbia dato la sua disponibilità a rispondere a tutte le domande, dando un’ampia e dettagliata testimonianza sui fatti e fornendo ai pm tutti gli elementi.
I magistrati hanno chiesto chiarimenti su due aspetti dell’inchiesta al centro del filone Tempa Rossa. Il primo riguarda l’intercettazione del 14 novembre 2014 con il compagno Gianluca Gemelli (indagato) sull’emendamento alla Legge di Stabilità. Il secondo, invece, riguarda il ruolo che lo stesso imprenditore avrebbe avuto nella definizione dell’emendamento in questione e dell’attività dell’ex ministro rispetto agli interessi delle compagnie petrolifere. Inoltre, negli ultimi giorni si è parlato di nuove intercettazioni, che sicuramente potrebbero rivelare altri scenari e altri risvolti per il caso.
Veronica Nicotra -ilmegafono.org
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