Il futuro del clima si decide a Parigi. La capitale francese è infatti sede della tanto discussa, quanto blindata, Conferenza sul Clima organizzata dall’Onu (iniziata il 30 novembre durerà fino all’11 dicembre), un incontro che vede la partecipazione di 195 paesi uniti per decidere le sorti di emissioni nocive, inquinamento e global warming. Trovare un accordo d’intesa non è una missione facile, viste le divergenze e gli interessi in campo; molti parlano addirittura di una farsa in atto nella redazione del testo da presentare a conclusione del summit. Lo scarso successo del Protocollo di Kyoto ha indotto i partecipanti a prendere decisioni concrete intorno a quattro punti fondamentali: in primo luogo, bisogna rendere effettivi i tagli sulle emissioni annunciati dai singoli stati, un ostacolo difficile se pensiamo ai paesi alle prese con il boom economico.
La seconda questione focale è data dai finanziamenti, necessari per controllare e rafforzare la rete dei controlli. Il fondo dal quale attingere è programmato soltanto fino al 2020 e la Conferenza dovrà necessariamente prolungarne il termine. Il terzo punto in discussione è l’impegno a mantenere la promessa sulle riduzioni delle emissioni, mentre il quarto punto prevede azioni a lungo termine: centrare l’obiettivo della carbon neutrality, ossia zero emissioni di carbonio.
Secondo il rapporto diffuso da Germanwatch, nel giro di vent’anni, a partire dal 1995, si sono verificate calamità climatiche tali da provocare oltre quindicimila vittime, con una conta dei danni pari a tre miliardi di dollari, cifre preoccupanti di cui i leader mondiali devono assolutamente tenere conto. Dal canto suo, l’Italia propone, su iniziativa di quattordici regioni e su richiesta del WWF, di ridurre le emissioni del 50% (e non più del 40%) entro il 2030. A sorpresa, la Cina sbaraglia la concorrenza internazionale annunciando di ridurre i gas serra del 60% entro il 2020, riducendo inoltre anche le emissioni delle centrali di carbone.
Lo scetticismo regna sovrano, nonostante le promesse del colosso asiatico relative alle fonti rinnovabili e nonostante gli attacchi del governo cinese ai paesi occidentali, accusati di tenere gli occhi chiusi dinanzi ai disastri ambientali. Le notizie che vengono da Pechino, tuttavia, raccontano di una città ancora una volta avvolta da smog, mentre il New York Times afferma che l’utilizzo di carbone è molto più alto rispetto alle cifre dichiarate dai vertici cinesi.
La protesta messa in atto dall’artista danese Olafour Eliasson sulla piazza del Panthèon appare purtroppo assai lungimirante e veritiera: iceberg di cento tonnellate provenienti dalla Groenlandia sono stati disposti a formare un orologio e, esposti a un clima assai più caldo del normale, si sono inesorabilmente sciolti. Proprio ad indicare che di tempo, ormai, ne è rimasto davvero poco.
Laura Olivazzi -ilmegafono.org
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