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Libertà, da quante labbra diverse sento pronunciare questa parola, in queste ore di caos.
Libertà, pare che sia questa la ragione degli attacchi e dell’odio.
“La nostra libertà”, si affrettano a dire capi di Stato, giornalisti, osservatori.
Quasi fosse tutta una questione di invidia e di fastidio, lontana da logiche politiche, da quel miscuglio di errori e responsabilità che si incrociano con i fanatismi e le brame di un nugolo di esaltati dell’orrore, foraggiati da ombre di governi e gruppi economici.
In questi giorni tutta Europa non fa altro che ribadirla questa libertà, come un tesserino privilegiato ed esclusivo da mostrare a qualcuno che ci sta offendendo. Non lo so, sarò pignolo, ma questa ostentazione vuota mi sporca la bocca di un sapore amaro. Avverto, con inquietudine, un leggero senso di abuso in questa frenesia di sottolineature.
Cosa sarebbe questa libertà, se ci fermassimo a guardarla bene?
Cosa è, per la società occidentale, la libertà? E soprattutto per chi vale? Forse per una parte che ha i mezzi, la voce, il volume, il benessere, esiste, è riconosciuta, può permettersi il lusso di celebrarla questa libertà. Ma quanta esclusione comporta, quante prigioni ci sono ai margini delle nostre società? Gabbie frustranti di chi accetta, sopporta, si dispera e si frustra, escluso, condannato all’espiazione di una pena che nessuno avrebbe il diritto di comminare.
Precari, eserciti di giovani costretti a vivere a singhiozzo, spostarsi, ingoiare il fango per non perdere l’ultima razione di briciole.
Migranti, scappati dalle nostre e dalle loro guerre, dalle miserie dell’indifferenza e del mercato, obbligati a tacere, a subire, a vivere dentro le prigioni di una burocrazia spietata che stabilisce, con un pezzo di carta e un timbro, se esisti oppure no, se sei libero o sotto tiro, se sei autorizzato a sognare o invitato a rassegnarti.
Nullatenenti, esclusi, rinchiusi dentro quartieri grigi che ingialliscono le vite di chi li abita, chiamati ad alzarsi al suono mattutino dell’arrangiarsi. Stateci in mezzo, respirate con loro l’aria dell’incertezza quotidiana.
E infine donne, violate, svendute sulle strade degli schifosi compratori di corpi, sui sedili e nei letti degli orchi in doppiopetto che il giorno dopo accarezzano, con sorrisi gentili, le proprie vite normali.
Quanta altra libertà, ogni giorno, brucia e si incenerisce?
Quella di un non pensiero che accetta tutto, disinteressato, votato alla ricerca di soluzioni individuali a problemi da benestanti. Libertà che si edifica, arrogante, sopra un castello di non-libertà, di privazioni altrui, di strafottenza e sfruttamento.
A me sembra che la nostra sia libertà disegnata dal potere, concessa con un modello prestampato da compilare senza mai poter aggiungere altro o discutere il contenuto. Con la casella da riempire di croci piantate sulla vita e la dignità di altri. Esclusi.
“Attacco alla nostra libertà”, “invidia della nostra libertà”. Siamo sempre noi al centro del mondo. “Siamo superiori, quindi ci invidiano e ci odiano”. Siamo noi, identità europea, quella per cui piangiamo i nostri morti liberi. Perché quelli lontani, quelli non liberi, a Beirut, a Tripoli, a Damasco e Aleppo, a Baghdad, a Lagos, sono un’altra cosa. Li hanno uccisi per motivi “che non ci interessano, di sicuro non attinenti la loro libertà o la loro civiltà. Perché questi sono concetti solo nostri”.
Ho paura di questa Europa che non si interroga, quasi quanto ne ho del terrorismo.
Ho paura di questo senso di superiorità che ci impedisce di guardare il mondo e ci tiene uniti a prescindere dalle nostre responsabilità, non solo verso l’esterno, ma anche verso l’interno, verso noi stessi, il nostro sistema pieno di esclusioni e ingiustizie.
Come si fa a dichiararsi e sentirsi liberi in una società che ogni giorno distrugge diritti?
La mia libertà, certo, è anche poter andare al cinema, a teatro, poter criticare apertamente il governo, discutere pubblicamente con qualcuno che non la pensa come me. Ma non è piena (né tanto meno superiore), non lo sarà mai fino a quando ci saranno emarginazioni e periferie verso cui non muoviamo un dito né spendiamo un pensiero. E che anzi ci servono per sentirci altro, per sigillare la nostra appartenenza, per fissare l’impronta dei nostri piedi sugli scalini più alti.
Forse faremmo meglio a smetterla di dire che siamo bersaglio di un odio invidioso per la nostra libertà. Perché ci impedisce di capire che siamo in mezzo a una resa dei conti che è puramente politica, un altro momento nel quale la storia ha sfornato un mostro con molte teste. E tanti genitori… E poco importa che le sue prede siano libere o abbiano costruito vetrine luccicanti.
La libertà è un concetto troppo nobile per essere compreso e invidiato da chi conosce solo la morte e il denaro. Ed è un’aspirazione troppo pura e grande per essere svenduta al soldo della propaganda o usata da chi governa per giustificare vendette e ripetere errori.
Massimiliano Perna
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