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In rete e sui social leggo che, dopo la puntata di PresaDiretta, in tanti, giustamente, si chiedono perché la Polonia ha saputo sfruttare al meglio i fondi europei e li ha utilizzati per creare lavoro e abbellire le città, e l’Italia, invece, li ha sempre sprecati, usati a fini fraudolenti o addirittura lasciati lì, fermi, fino a farli tornare indietro.

Perché? Ripetono.

Personalmente ho smesso di stupirmi di tutto ciò, nel senso che è qualcosa che si trascina da anni, che non scopriamo certo stasera, visto che ce l’hanno raccontata inchieste giudiziarie e validi reportage giornalistici.

Ho smesso da tempo di porre e pormi questa domanda, semplicemente perché la risposta diventa scontata nell’osservazione dei fatti. Ci sono paesi che vogliono crescere e hanno bisogno di quei fondi per investire sul proprio territorio, sulla propria bellezza, sul miglioramento delle città, sulla riqualificazione, sull’energia rinnovabile e, ad esempio, sul turismo, che è il primo biglietto da visita per misurare la crescita (complessiva, non solo economica) e le opportunità di una nazione.

Noi siamo un Paese che al contrario osserva inerme la bellezza (unica al mondo) deturparsi, degradarsi. Che non investe in innovazione eco-sostenibile, che si affida ancora a ricette dettate dalle lobby di sempre, ma cerca di spacciarle per rimedi rivoluzionari. Siamo la nazione delle consulenze, ossia di milioni di euro spesi per produrre un oceano di slide e di stampe che giaceranno in eterno in cassetti impolverati o in hard disk sfiancati. Siamo il Paese della corruzione e delle mafie, dei furbi e degli evasori di ogni regola legata al bene comune.

Viviamo ascoltando gli annunci del leader di turno al governo che, con un po’ di trucchi di comunicazione mischiati all’immancabile egocentrismo e alla consueta arroganza, convince, oltre a chi la pensa come lui, anche una massa fluttuante di sprovveduti, di superficiali, di cervelli eternamente acritici o di persone in malafede.

Ascoltiamo passivamente di tutto, perché ormai siamo rassegnati a questo andazzo. E per una volta lo capisco, perché il buon senso, in Italia, viene ormai scambiato per vetustà intellettuale, per ideologia incrostata, per fastidio.

Di colpo il freno non è rappresentato dal malaffare, dai devastatori del vivere civile e dell’ambiente, da coloro che sui fondi europei truffano disperdendo delle possibilità per tutto il Paese e soprattutto per le aree e le categorie più in difficoltà, ma è rappresentato da tutti quei cittadini di buona volontà che si impegnano nella difesa dei diritti, della legalità, del territorio, e nel rilancio di uno sviluppo che sia armonico, che abbatta un modello che, fino ad ora, ha portato solo devastazione. Insieme a loro, sono considerati ostacoli persino quegli stessi diritti, la dignità che comportano e che si oppone alla violenza e alla portata discriminatoria del profitto.

Questo è un Paese che, nella testa della cricca di arroganti, autoproclamatisi “eletti”, che lo governa, non ha più il diritto di protestare, di dissentire, di porsi al di là dello steccato del potere, di dire quel che pensa al di fuori di un’appartenenza politica e partitica. Chi non è con il re è automaticamente minoranza nel mondo dei numeri che vengono usati e giostrati secondo le convenienze e attraverso mille semplificazioni.

Chi non ha padroni diversi dai propri pensieri e dai propri valori non negoziabili, vive una sensazione di claustrofobia e di solitudine che è il segno tangibile del malfunzionamento di una democrazia che qualcuno ha scambiato per un istituto demoscopico, dove la Carta Costituzionale vale meno della tabella di un sondaggio da sbattere in faccia a chi prova a contestare la linea. Ovviamente, guai a dire che la statistica non è una scienza esatta. Questa obiezione vale solo quando non si detiene il potere.

Insomma, scusate la digressione, ma è il frutto di un pensiero che bussa e mi amareggia: vale a dire, l’impressione che chiedersi il perché, qualsiasi perché, anche quello relativo al dissennato uso dei fondi europei da parte dell’Italia e a cui fa da controcampo l’esempio virtuoso della Polonia, nella nazione degli annunci, dei depistaggi, della bellezza vilipesa, delle mafie di Stato, sia assolutamente inutile. E che ci restano due tipi di rassegnazione (che stasera avverto un po’ più intensa nella mia indole che rimane ancora, nonostante tutto, indomita): la fuga all’estero, cioè andarsene, voltare le spalle a questo Paese con tanti saluti e tanto disinteresse, oppure continuare a lottare infilando dentro il cuore un bel carico di speranze, ma tenendo sempre viva, come una spada appuntita sul fianco, la convinzione che questo muro di gomma non farà altro che rimbalzarti via (e a una certa età farà male, irrimediabilmente).

Un dannato dilemma italiano. Sarà l’ennesima notte insonne, sarà questa sessione di lettura in una piazza virtuale a cui non si vede mai corrispondere, con uguale intensità, il calpestio costante e impetuoso del selciato reale, ma questa sera quelle domande legittime, quello stupore sincero e diffuso, assumono il volto di una ingenuità bruciante, di una richiesta di condivisione globale, di aiuto, a cui però nessuno risponderà. Che sia per una speranza perduta o per un insopportabile (e non del tutto giustificato) senso di impotenza.