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I black blok sono indubbiamente degli imbecilli. Sono delle specie di ultras riuniti dalla sola voglia di fare casino e spaccare tutto. Non hanno ideologie, non hanno idee, non hanno alcun malessere sociale da sfogare e chi cerca di trovare delle ragioni sociologiche o delle visioni rivoluzionarie tra i sassi, le spranghe e le auto incendiate è del loro stesso infimo rango. Qualche anno fa, all’indomani di un’altra razzia di questi gruppetti di violenti, a Roma, una rivista per cui lavoravo mi chiese di occuparmi di loro. Durante la mia inchiesta, ebbi modo di parlare con uno che questi fenomeni li studiava da tempo: Antimo Farro, docente di Sociologia presso l’Università “La Sapienza” di Roma. Dell’ottima analisi del professor Farro ricordo ancora molto bene la definizione di black blok: “Sono gruppi non organizzati che, da circa dieci anni, intervengono con violenza alle manifestazioni. La stampa li definisce con questa sigla, ma loro spesso non vi si riconoscono. Sono gruppi composti da persone che sono unite solo dall’atto violento e non dalla condivisione di un’ideologia politica. Provengono da paesi e da esperienze politiche diverse e si incontrano per caso”.

In questa definizione si può cogliere, senza aggiungere altro, tutta la stupidità dei black blok e la loro totale lontananza da qualsiasi progetto politico o da qualsiasi concetto di lotta al sistema. Esattamente come una curva di ultras ubriachi, a loro interessa soltanto la violenza. Punto. Dai fatti di Milano, però, emerge che nel girone degli imbecilli le tute nere sono in buona compagnia. I commentatori politici, gli opinionisti, i cittadini, i fenomeni da tastiera, in gran parte, hanno raggiunto e talvolta perfino superato la piattezza cerebrale dei black blok. A partire dalla confusione continua con gli antagonisti di ogni tipo, con i No Expo o con i No Tav.

Un calderone dove è stato infilato tutto e il contrario di tutto, allo scopo ovvio di criminalizzare anche movimenti che, con motivazioni più che valide (che ovviamente non trovano più spazio sui giornali), si oppongono a Expo e alla presenza delle multinazionali che affamano il pianeta, alla speculazione che ha portato a un giro d’affari di miliardi che ha ingrassato i soliti (a partire dalle mafie che spopolano in Lombardia), alla truffa sulle opportunità di lavoro, e così via. Sono diventati tutti uguali, black blok e antagonisti. Sono stati buttati dentro persino i No Tav, che si oppongono da anni a una violenza che non indigna i tanti soloni della politica e della stampa nazionale, ossia un’opera dannosa e inutile in nome del quale si vuole condannare il futuro della Val di Susa.

Bisognerebbe, pertanto, finirla di mischiare ciò che non è mischiabile, etichettando tutti, come ha fatto il premier Renzi, come “figli di papà”. È una semplificazione idiota e strumentale. I black blok sono una cosa, i movimenti antagonisti sono un’altra (al di là del fatto di essere d’accordo o meno con le loro modalità di lotta). Ancora una volta mi affido alle parole che il prof. Antimo Farro usò durante l’intervista per descrivere i cosiddetti antagonisti: “Con questo termine intendiamo l’area dell’antagonismo, formata da gruppi che sono invece organizzati e che si pongono sul terreno della critica radicale nei confronti delle istituzioni, in nome di un’alternativa rivoluzionaria. Sono quindi legati da una ideologia. È il caso, ad esempio, dei centri sociali, ma soltanto di una parte minoritaria di essi”.

Ciò detto, grazie all’imbecillità dei black blok e a quella di chi ne cavalca con ignoranza l’onda emotiva, a pagare saranno proprio le ragioni dei movimenti, le posizioni critiche rispetto a un evento che viene spacciato (nessuno, al di fuori degli slogan, spiega mai il perché) come decisivo per il futuro del nostro Paese e del mondo intero. Come se l’Expo, soprattutto pensato così, potesse cambiare le politiche scellerate dei governi e delle multinazionali sul cibo e sull’acqua, oppure convincere ad esempio la Cina, per citarne una, a togliere le mani dall’Africa e dalle sue risorse. Come se una fiera, un’esposizione, al di là delle opere dal design discutibile, dei cantieri finiti in fretta passando sopra ai diritti (e alla vita) dei lavoratori e a chissà quali altre norme, del carattere di esclusività che tanto piace a molti italiani dall’orgoglio intermittente, possa davvero cambiare qualcosa nell’economia italiana e nelle politiche globali sul cibo e contro la fame nel mondo.

I temi fondamentali saranno tenuti fuori, per non disturbare la vetrina. In più, non sarà più possibile, adesso, manifestare dissenso, perché la risposta repressiva e autoritaria, per colpa dei black blok (e anche della debolezza dei movimenti, incapaci di prevenire e trovare contromisure), scoraggerà qualsiasi azione pacifica di critica e di disturbo. Insomma, questa violenza ha fatto bene a chi difende Expo, ha fatto bene al sistema, perché ha creato anche un fronte compatto di perbenisti, quelli che si indignano solo quando è facile farlo. Parlo esclusivamente di chi, a Milano, si incazza giustamente per le devastazioni della città e scende un giorno in strada a ripulire, ma poi tutti i restanti giorni tace indegnamente dinnanzi alla violenza meno evidente ma ben più profonda che la città subisce (si è visto anche con l’Expo) per mano dei sistemi criminali che ne infettano ad ogni livello l’economia e il commercio.

Mi piacerebbe, allora, che quegli stessi commercianti che oggi hanno la scopa in mano per ripulire i marciapiedi dai segni della violenza delle tute nere, domani non si rifiutassero di compilare questionari nei quali viene chiesto se pagano il pizzo o no. Mi piacerebbe che denunciassero la mafia e mi sarebbe piaciuto che non avessero mai lasciato solo chi lo ha già fatto a proprio rischio. Sarebbe bello se l’energia positiva dei cittadini di Milano (siano essi autoctoni o fuorisede), il loro orgoglio ferito, la loro rabbia durassero nel tempo e si organizzassero per contrastare quotidianamente le mafie, per boicottare in massa i locali della movida in mano alle ‘ndrine, per fermare le cementificazioni selvagge e pretendere la trasparenza e regolarità degli appalti pubblici.

Perché, sinceramente, fa un po’ ridere chi si infuria per le parole farneticanti di un ventunenne ignorante e privo di senso e poi, spenti pc o televisore, la sera va a farsi uno Spritz oppure a ballare nel locale del boss.