A distanza di quattro anni, la Direzione Investigativa Antimafia di Lecce ha sequestrato definitivamente diversi beni, dal valore complessivo di oltre 1,6 milioni di euro, a Giovanni Mazzotta, il quale sarebbe riconducibile, secondo le indagini, al clan dei Tornese, una delle cosche della Sacra Corona Unita. Tale operazione, come detto, si succede ad una precedente che aveva visto, proprio nel 2011, un sequestro anticipato nei confronti dello stesso Mazzotta ed effettuato dalla Sezione Operativa di Lecce. All’epoca, così come oggi, gli inquirenti accusarono il cinquantenne pugliese di aver dichiarato redditi eccessivamente bassi tali da far emergere una sproporzione esagerata rispetto al patrimonio a lui riconducibile.
Quello che, però, sta più a cuore agli inquirenti è il fatto che Mazzotta sia, da sempre, un uomo molto vicino al clan Tornese e che lo stesso abbia adoperato metodi mafiosi nei confronti di numerose persone, tra cui molti commercianti. Giovanni Mazzotta, infatti, è noto alle forze dell’ordine non solo per un arresto eseguito nel 1994 per spaccio di sostanze stupefacenti (e per il quale sta già scontando la sua pena), ma soprattutto per aver avuto un potere enorme ed il controllo di numerosi supermercati, tanto da guadagnarsi il nickname di Giovanni “Conad”. Tutto ciò, ovviamente, con l’appoggio del clan mafioso.
Al centro delle indagini, insomma, vi sarebbero tre punti: innanzitutto, il controllo di Mazzotta su supermercati non gestiti direttamente da lui. Ciò significa che avrebbe “comandato” con la forza anche in attività non strettamente riconducibili a sé stesso e avrebbe inoltre dato le linee guida da seguire ai veri dirigenti dei negozi. Inoltre, come già detto, la vicinanza troppo evidente al clan Tornese. Infine, come ultimo punto (e di ciò se ne è già parlato), una dichiarazione dei redditi veramente incoerente con l’impero economico che è stato in grado di costruire. Tre punti cardini che hanno portato, nel 2011, ad un sequestro anticipato ed infine, nel 2015, ad un sequestro definitivo di tutti i suoi beni.
La svolta, secondo le indagini, sarebbe arrivata grazie ad alcune dichiarazioni di un imprenditore di Leverano (Le), il quale avrebbe affermato di aver subito pressioni chiaramente mafiose da parte dell’indagato. Ancora una volta, quindi, le intercettazioni, unite al lavoro delle forze di polizia e alle testimonianze di persone coraggiose, hanno permesso di porre la parola fine ad una situazione che era rimasta in sospeso da troppo tempo.
Come affermato dal comandante della DIA, Carla Durante, “questa confisca si inserisce in un’attività molto più ampia che mira all’aggressione dei patrimoni mafiosi con quello che si ritiene ora il metodo più incisivo”, il quale consiste nel far “venir meno le disponibilità patrimoniali e, di conseguenza, depotenziare i grossi gruppi mafiosi”. Colpi del genere, in effetti, non fanno altro che destabilizzare la potenza mafiosa, poiché si va a colpire con forza grosse fonti di guadagno dal quale attingere numerose risorse. Un sequestro del genere, insomma, ha una molteplice validità che non deve assolutamente essere sottovalutata o taciuta e le forze dell’ordine, con l’operazione appena conclusa, hanno inferto un bel colpo ad un soggetto considerato vicino a uno dei clan più pericolosi in Puglia.
Giovambattista Dato -ilmegafono.org
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