È uno scenario critico e molto preoccupante quello che emerge dall’ultima relazione semestrale della Direzione investigativa antimafia sulla criminalità organizzata italiana. Nel corso degli ultimi anni, abbiamo spesso raccontato come questa fosse cambiata e non si limitasse esclusivamente a questioni di racket, traffico di droga e violenza, e il risultato del rapporto della Dia non ammette alcun dubbio: la mafia è in grado di seguire i diversi andamenti e cambiamenti del tempo ed è, spesso, l’organizzazione che meglio si adatta alle novità tecnologiche, informative e soprattutto a nuove modalità di esecuzione ed azione.

Nonostante le ormai note operazioni di racket, riciclaggio di denaro, prostituzione e droga rappresentino ancora il fulcro, il centro delle attività criminali, i clan mafiosi sono riusciti a espandere il proprio raggio d’azione a realtà ben più complesse e articolate, oltre che lontane anche geograficamente dalle basi storiche. È così, infatti, che le famiglie calabresi, campane e siciliane spostano sempre più l’attenzione verso il Centro e il Nord Italia, ma anche l’Europa e l’estero in generale. Secondo l’ultimo rapporto, infatti, è stato confermato come Gran Bretagna, Germania e Spagna non siano affatto esenti dalla presenza della criminalità organizzata italiana, a dimostrazione della potenza e della forza con la quale la criminalità stessa opera in tutto il mondo.

Ma a far preoccupare gli inquirenti e la giustizia italiana è, soprattutto, la capacità con la quale le mafie sono riuscite e riescono tuttora a infiltrarsi all’interno della cosiddetta zona grigia, ovvero quella realtà composta da elementi appartenenti all’imprenditoria, all’economia e molto spesso anche alla politica. In poche parole, la mafia si fa forte della permeabilità non solo dello Stato in generale, ma soprattutto di esponenti dell’alta società, al fine di controllare e gestire diversi business criminali. È il caso dello scioglimento di un comune nella pianura Padana; o quello di imprenditori arrestati perché collusi con la mafia; oppure, ancora, di cantieri edili in mano alla ’ndrangheta o, più in generale, di politici corrotti: tutto questo riconduce ad una realtà che fa paura, che deve far riflettere perché continua a essere sotto il controllo di grosse organizzazioni criminali e non fa altro che rafforzare un potere sempre più invasivo e soffocante.

Il punto in comune tra le tre più grandi associazioni mafiose (’ndrangheta, cosa nostra, camorra) sembrerebbe quello dei rifiuti: tutte, infatti, avrebbero concentrato gran parte dei propri sforzi in uno dei settori più fruttuosi in Italia, passando dal traffico e smaltimento degli stessi sino alla realizzazione e allo sviluppo di nuove fonti energetiche. Insomma, un vero e proprio business per il quale le mafie sarebbero pronte a investire ingenti quantità di denaro, con lo scopo ultimo di gestire il tutto grazie alla collaborazione di individui appartenenti alla zona grigia di cui sopra.

Il denaro, a tal proposito, è un altro punto sul quale la Dia ha indagato e continua tuttora a prestare attenzione. Secondo gli investigatori, infatti, urge applicare un nuovo sistema di controllo e monitoraggio per quanto riguarda le operazioni bancarie di qualsiasi tipo. Per questo motivo la Dia, in collaborazione con la Banca d’Italia, ha deciso di approfondire ulteriormente i propri strumenti di sicurezza. Nel primo semestre del 2015, dalla Banca nazionale sono arrivate ben oltre 40 mila segnalazioni di movimenti sospetti che hanno permesso di evitare operazioni illecite, a dimostrazione del fatto che un passo avanti è stato realizzato e che la mafia è costantemente attiva.

Infine, non mancano dati riguardanti l’edilizia, sempre più sotto il controllo della criminalità organizzata: l’Expo, tra tutti gli appalti realizzati in Italia nell’anno da poco concluso, è quello che ha sofferto maggiormente la morsa mafiosa, in primis quella della ’ndrangheta, che si dimostra, ancora una volta, l’associazione criminale più “imprenditoriale”, la più potente in Italia e una tra le più potenti al mondo. Insomma, che dalla relazione della Dia potesse emergere un risultato migliore non era affatto prevedibile e così, in effetti, non è stato. La realtà italiana, purtroppo, è sotto gli occhi di tutti e non bisogna affatto sorprendersi di quanto appena denunciato. Al contrario, pensiamo sia il caso di iniziare a prendere dei provvedimenti seri, reali, non di facciata, e ciò deve essere fatto soprattutto per due motivi.

Innanzitutto perché il nemico da combattere e sconfiggere non è più (o non è soltanto) lo scugnizzo o il picciotto armato di fucile e coppola in testa: è piuttosto un’associazione (o una moltitudine di associazioni) che ha ormai preso il controllo sociale ed economico dell’intero Paese ed è in grado di fare affari con esponenti di aziende importanti e soprattutto con settori della politica. È, insomma, un nemico molto evoluto che vive in maniera confortevole ed a proprio agio nel mondo di oggi.

In secondo luogo, perché crediamo che l’immagine del nostro Paese venga danneggiata in maniera inesorabile e ciò non può essere più accettato. Lungi da noi il voler fare della propaganda patriottica, crediamo però sia giunto il momento di dare risalto ed aiutare quelle bellissime realtà (sono molte) che rendono l’Italia un posto migliore in cui vivere, crescere e andare avanti. Realtà che spesso rimangono isolate. È il momento di dimostrare al mondo intero che l’Italia non è solo malaffare, ma è anche altro e che il nemico più grande di sempre può essere sconfitto. A patto che ci sia la volontà politica di farlo.

Giovambattista Dato -ilmegafono.org