Di tutte le cose che ho letto su Expo non c’è, per quel che ho visto, nessuno che abbia rilevato questo clima strano. Come un compleanno delle elementari o la festa al liceo. Il tavolino con le bevande è pronto, mancano solo gli invitati. Quel senso di vuoto che va riempito e quell’eccitazione trepidante nei discorsi delle persone. Eppure una gioia piccolo borghese potrebbe essere sufficiente a vedere del buono in quella che è davvero una grande occasione per mettersi in vetrina.
Hanno tirato a lucido la Darsena. Fino a qualche anno fa, somigliava a certe anse dell’Arno a Pisa, dove ti aspetti da un momento all’altro una pantegana grossa come un automobile che prova a rapinarti. Con l’inaugurazione del 28 aprile scorso, sembra di avere uno spicchio di Parigi accanto a viale Papiniano. La grande vecchia signora, un po’ operaia, per certi versi ancora ruspante, di certo unica per carattere brusco, si è data una bella mano di trucco. Hanno tolto le impalcature all’imbocco di Porta Ticinese (o via dell’Ironia come l’ha chiamata qualche anonimo artista colorandola e rendendola simile a un vicolo di Berlino). Quest’aria elettrizzante la rende più affascinante.
I giardini Montanelli e il viale pieno di fiori, la silenziosa Brera, gli eccessi della Galleria e la calma atavica del castello. Il tutto nonostante le fotocopie del suo cielo “di panta”. È bello vedere i milanesi provare a far finta di niente, a lamentarsi del traffico, dei lavori non finiti e poi ritrovarsi tutti in fila a vedere il concerto inaugurale in Piazza Duomo. In questi giorni siamo un po’ tutti milanesi. La voglia di polemica (spesso giustificata e auspicabile), ma con quel pizzico di curiosità dell’andare a una festa di persone che non conosci. Al di là delle speculazioni, del “dopo Expo”, delle polemiche sul lavoro (proviamoci un secondo ad andare al di là), credo fermamente che la vetrina possa aiutarci a riscoprire il nostro Paese. A riscoprire la bellezza anche attraverso il cibo.
A riscoprire anche Milano, che il compatriota Bianciardi odiava a morte nel suo boom economico, ora che si sta convertendo a posto vivibile con un proprio equilibrio imparando, col tempo, a gestire gli eccessi (ma non l’ansia). E, come corollario, a valorizzare il territorio di questo Stivale anche e soprattutto da un punto di vista ambientale.
Di tutto questo mi dispiace solo che troppe persone vedranno la villa dei fenicotteri che sentivo un po’ mia dopo averla scoperta per sbaglio, o il citofono a orecchio, o che qualcuno provi a contare le facce scolpite sulle superfici del Duomo dopo che uno studente straniero in Erasmus si fermò a 5400.
Penna Bianca -ilmegafono.org
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