Lo scorso 10 gennaio, sull’onda emotiva suscitata dall’attentato di Parigi contro il giornale satirico Charlie Hebdo, è stata organizzata, in piazza Duomo, a Milano, una manifestazione per la pace promossa da Emergency e lanciata dall’hashtag #stareinsieme. Un appuntamento che ha riempito la piazza di manifestanti uniti da un’unica bandiera, quella variopinta della pace. Milano ha voluto così mostrarsi unita nella volontà di costruire un futuro diverso da quello di chi ha iniziato una discutibile guerra al terrorismo che dura da 14 anni. Un appuntamento che voleva essere solo il primo passo, coraggioso, per interrogarsi e trovare soluzioni alternative a quelle che i governi occidentali hanno trovato fino ad ora, bombardando e spargendo sangue. Dalla piazza è emerso il proposito condiviso di reagire alla violenza non con altra violenza, ma facendo propria l’idea dell’ex premier norvegese (e oggi segretario generale della Nato) Stoltenberg, il quale, dopo la strage di Utoya del 2011, disse: “Reagiremo con più democrazia, più apertura e più diritti”.
Come ha ricordato, nel corso della manifestazione, Cecilia Strada, bisogna inoltre iniziare a interrogarsi su chi ha interessi e guadagna da questa guerra, su chi produce e fornisce armi a un conflitto che non è certo iniziato con l’attacco a Parigi. Un conflitto che di solito si combatte lontano dalle capitali europee e rispetto a cui non possiamo permetterci di fare differenze tra morti, in base alla loro provenienza. Siano morti parigini, nigeriani, iracheni, afgani, siriani, essi sono tutti vittime di questo assurdo incubo, che non è occidentale, ma di tutte le persone giuste che ripudiano la violenza.
Il confine è netto. Da un lato, come ha ricordato sempre la Strada, abbiamo chi vuole più giustizia e meno violenza, dall’altro chi questa violenza la cavalca e la protegge per arricchirsi o riempirsi la bocca. Da un lato c’è chi produce armi e intolleranza, dall’altro chi fa dell’accoglienza e della richiesta di diritti per tutti il proprio strumento di lotta per un futuro di pace. L’ignoranza e la violenza di chi soffia sul vento dell’odio non possono essere una risposta. Non è certo con parole irresponsabili e vergognose come quelle di Salvini (secondo cui tutti gli islamici sono pronti a sgozzarci come maiali) che si sconfigge il terrore.
A tal proposito, Marian Ismail, membro della comunità somala milanese, ha ricordato come le donne somale vengono sgozzate da 25 anni dallo stesso tipo di fondamentalismo che ora fa tremare tutta Europa, facendoci sentire indifesi. La stessa violenza la subiscono tutti, anche i musulmani (si pensi ai curdi, ai siriani o ai nigeriani, giusto per fare qualche esempio), i quali non riconoscono in questo orrore la loro religione. Ecco perché è assurdo pensare che qualcuno, per meri fini politici, si permetta di strumentalizzare i conflitti spostandoli sul piano della civiltà. Da piazza Duomo, attraverso un appello corale in tante lingue, in migliaia abbiamo chiesto pace, condannando tutte le guerre trasversalmente, nella consapevolezza piena che i diritti uniscono e l’odio divide.
Gli interventi di rappresentanti di tante comunità e associazioni si sono alternati, sullo stesso palco, lasciando nel cuore di chi era tra il pubblico la convinzione che esiste un’alternativa vera e multiculturale. Tra gli interventi da ricordare si segnala anche quello di Gad Lerner, che ha chiesto a tutti di non montarsi la testa, che Parigi e Milano non sono l’epicentro di questa guerra e che questa guerra va avanti da molti anni, anche se molti di noi hanno voltato la testa dall’altra parte. Siamo dunque solo una parte infinitesima di un lungo conflitto che non ha confini, religione o credo.
Dobbiamo pertanto restare uniti e soprattutto umani, perché una violenza così atroce può attecchire solo dove non si coltivano davvero la solidarietà, il diritto alla cultura, alla salute, al confronto, all’espressione. Dobbiamo capire che anche in paesi “moderni” come il nostro questi diritti non sono poi così scontati. La manifestazione è proseguita con una sfilata variopinta per le strade del centro fino a Palazzo Marino, dove si è poi conclusa dando però un nuovo appuntamento, per il giorno seguente, presso tutte le ambasciate e i consolati, sperando che per ritrovarsi e per lavorare ad un’alternativa alla violenza e alla guerra non ci sia ancora bisogno di vittime e di dolore.
F. Z. –ilmegafono.org
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