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11 settembre, io ricordo le vittime innocenti. Tutte.
Quelle americane del 2001 delle torri gemelle, i passeggeri dei voli dirottati e fatti schiantare, così come le vittime del colpo di Stato di Pinochet in Cile, nel 1973. Per me non esistono differenze e trovo stupido ideologizzare tragedie tremende. I complotti, le congetture, le ipotesi (soprattutto quelle farneticanti), le colpe dei governi americani non giustificano l’orrore che ho visto, con i miei occhi, quel dannato pomeriggio del 2001.
Quelle persone, esseri umani senza colpa, gente comune, uccise, arse vive, schiacciate spappolate, costrette a buttarsi giù da un grattacielo (non dimenticherò mai quei corpi che precipitavano nel vuoto in diretta tv) meritano memoria e rispetto. Non meritano di finire dentro il calderone di analisi ideologiche e di ricostruzioni ipotetiche.
Stessa cosa vale per le vittime di Pinochet e degli alleati statunitensi degli anni ’70, per i desaparecidos, per tutti quegli oppositori e cittadini torturati, violentati, uccisi barbaramente, con il consenso di Washington, e che meriterebbero maggiore memoria e uguale spazio nell’agenda delle commemorazioni mondiali. Ma la contrapposizione tra loro non posso accettarla, perché è idiota, sbagliata, volgare e disumana.
Le vittime sono sempre vittime, non c’entrano nulla con le colpe dei governi.
E io che sono di sinistra, per principi e non per moda, non accetterò mai di speculare, anche solo intellettualmente, su un’ingiustizia e sul destino ingiusto di persone innocenti.
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