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Mi stupisce scoprire un Paese di “brave persone”, di uomini e donne che non hanno mai commesso una bravata in età giovanile, ma soprattutto di menti lucide e fredde che, quando si tratta di scugnizzi di quartieri napoletani, hanno la capacità di non perdonare niente, né mostrare pietà.
Mi stupisce sapere che secondo molti “perbenisti” di questo Paese, se superi un posto di blocco in tre su un motorino (sbagliando, ci mancherebbe) allora è “normale”, quasi automatico, che ti sparino alle spalle e ti facciano fuori, anche se sei disarmato e non stai puntando niente contro nessuno.
Mi stupisce vedere che tanti di coloro che partecipano alla retorica della filantropia, diventino poi di colpo crudeli nei confronti di un ragazzo che di colpo diviene “criminale, delinquente, amico di un latitante, di un pregiudicato”, dimenticando che quel ragazzo è prima di tutto una vittima.
Mi stupisce che tanti di coloro che magari si dicono contrari alla pena di morte, poi adducono, a giustificazione di un omicidio commesso da un uomo in divisa, la vicinanza presunta a certi ambienti o la presenza altrettanto presunta di un latitante, come se questo potesse in qualche maniera rendere comprensibile l’esecuzione.
Mi stupisce che a qualcuno sfugga che, per legge, quella stessa legge che le forze dell’ordine sono chiamate a garantire, se un uomo è disarmato e scappa, sia che si tratti di un ladruncolo o di un incensurato o di un boss, non è consentito sparargli addosso. Semplicemente perché si può sparare solo per legittima difesa. In Italia per fortuna è ancora così. Il resto lo trovate nei western di Sergio Leone.
Mi stupisce questo improvviso amore per le regole degli italiani, questa loro straordinaria severità, così come mi stupisce (e mi irrita) che in questa smania mediatica, dal vago sapore giustizialista, si continui a parlare e scrivere di pregiudicati, latitanti, regole infrante, stipendi bassi e rischi alti per le forze di polizia, di scontri, di camorra, ma non si tenga minimamente conto del dolore che in questo momento provano due famiglie, ma principalmente una, in cui un ragazzino appena ucciso viene descritto già come un criminale, come un amico dei latitanti, come un poco di buono. Senza che si conceda il beneficio del dubbio, senza pensare che si possa trattare semplicemente di un diciassettenne che ha fatto una cazzata di quelle che fanno anche in altre città e non solo a Napoli o in un suo rione popolare, dove di etichette appiccicate troppo facilmente ce ne sono già abbastanza.
Mi stupisce questa freddezza, questa mancanza di umanità, questa assenza di pietà per un minorenne, per Dio!, un ragazzino di diciassette anni; che non stava sparando a nessuno né stava aggredendo qualcuno con un machete in mano!
Mi stupisce che in questo Paese delle banane, inquinato dai moralisti e dalle coscienze di facciata, sempre pulite ovviamente, si esprima più solidarietà all’omicida (al di là della sua volontà di esserlo, per carità) che all’ucciso.
Mi spaventa che in questo Paese si distrugga l’innocenza di una vittima con tale facilità.
Mi rattrista constatare che in questo Paese avremmo ancora tanto bisogno delle lezioni di umanità di un uomo, di un giornalista come Pippo Fava, che nel raccontare questo fatto avrebbe messo al primo posto il rispetto dell’essere umano, senza preconcetti di classe o geografici.
Mi consola solo una cosa: che ci siano ancora persone come il mio amico Alessandro, che continuano a sperare in un mondo migliore e che della propria vita, iniziata in quel rione, hanno fatto una testimonianza di umanità, giustizia e maturità.
In tutto questo orrore, posso ancora affidarmi a lui, che, dal rione Traiano, prova a farci capire come stanno davvero le cose e ci mostra quanti altri terribili colpi sono ancora nella canna delle pistole puntate, da anni, contro il futuro di generazioni che non riescono a uscire dal grigiore di una società colpevole e indifferente.
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