Sono stati condannati a sei anni e sei mesi i fratelli Franco e Biagio Passarelli, figli del noto boss Dante Passarelli, da sempre affiliati al clan dei casalesi e in particolare al gruppo di Francesco “Sandokan” Schiavone. L’accusa, per i due, è di concorso esterno in associazione camorristica e ciò, secondo gli inquirenti, sarebbe dovuto proprio ai continui e stretti legami che la famiglia Passarelli avrebbe avuto proprio con la banda di Schiavone. Secondo il Tribunale di Napoli, i fratelli Passarelli, dopo la misteriosa morte del padre (il quale cadde da un terrazzo durante il processo “Spartacus I”), avrebbero gestito diverse aziende per conto dei casalesi e dello stesso “Sandokan”, al fine di riciclare i soldi del clan provenienti da attività illecite.

Ciò spiegherebbe anche l’acquisto da parte di Dante Passarelli, tra le altre cose, della tenuta agricola La Balzana (adibita a coltivazioni di pomodori per conto dell’azienda Cirio), della Commerciale Europea, nota azienda volta alla confezione e alla commercializzazione dello zucchero “Kerò”, e poi della Bellavista, agenzia immobiliare con sede a Santa Maria Capua Vetere.

Insomma, un vero e proprio impero imprenditoriale nelle mani di una famiglia, quella dei Passarelli, il cui unico scopo era quello di soddisfare le richieste di un’altra famiglia ben più potente, quella di Schiavone, la cui unica preoccupazione consisteva nel ripulire gli incassi “sporchi”. Finalmente, a distanza di qualche anno e dopo numerose inchieste, il gip di Napoli Tommaso Miranda e il pm della procura antimafia partenopea, Luigi Landolfi, sono riusciti a porre fine ad un gioco che durava da troppo tempo e che aveva portato una quantità di denaro e beni davvero consistenti alle due famiglie mafiose (si stima che soltanto il patrimonio dei Passarelli si aggiri intorno ai 15 milioni di euro).

In questo, si sa, la mafia è maestra e non deve sorprendere che ci siano voluti anni di indagini affinché si raggiungesse un risultato positivo e decisivo. Di situazioni del genere, infatti, ce ne sono tantissime e un po’ ovunque in tutto il territorio italiano. Certo, al Sud, probabilmente, la presenza di aziende in mano alle cosche mafiose sembra essere più cospicua, ma non bisogna sottovalutare il Nord e le aree più sviluppate, le quali, proprio per tale ragione (il denaro che circola), sono sempre più sotto il controllo della criminalità organizzata.

Un colpo duro, comunque, è stato inferto anche questa volta ai casalesi e alla camorra, ma ciò non basta e non deve bastare. Ogni settimana, infatti, non mancano notizie positive, che dovrebbero portare un po’ di serenità e fiducia negli inquirenti, ma soprattutto alimentare un senso di giustizia che in questo Paese sembra ormai fortemente compromesso. Ma se è vero che lo Stato si fa sentire laddove la mafia vive e si arricchisce, è pur vero che quest’ultima non finisce di rigenerarsi e persino di migliorarsi e proteggersi sempre di più.

In poche parole, se da un lato scrivere spesso di arresti e confische di beni mafiosi significa gioire per il compito ben svolto dallo Stato, dall’altro, purtroppo, bisogna anche constatare che la criminalità organizzata continua a produrre potenze e patrimoni economici e sociali di caratura enorme, che a volte appaiono infinite e strozzano un po’ le speranze di una sua definitiva sconfitta. La strada è ancora lunga.

Giovambattista Dato -ilmegafono.org