Dalla chiesa cattolica arriva un nuovo segnale nei confronti della criminalità organizzata. A pochi giorni dalla scomunica dei mafiosi annunciata da Papa Francesco durante la sua visita in Calabria, è stato il turno del vescovo di Reggio Calabria, monsignor Giuseppe Morosini, il quale ha lanciato un attacco molto duro alla ’ndrangheta e alle cosche calabresi. La proposta del vescovo, infatti, è una di quelle che definire drastica sembra un eufemismo: abolire per dieci anni la figura dei padrini dai battesimi e dalle cresime quantomeno in Calabria. Probabilmente una proposta del genere, per chi è lontano dagli ambienti ecclesiastici o per chi semplicemente professa altre religioni o non crede, rischia di risultare indecifrabile o di non destare alcun interesse.
In realtà, il gesto del vescovo reggino ha un’importanza notevole, oltre a possedere un duplice significato: non solo cerca di cambiare tradizioni e costumi del mondo ecclesiastico che appaiono ormai fuori luogo, desueti e privi di senso, ma è anche una provocazione nei confronti del mondo mafioso che è da troppo tempo vicino a quello della Chiesa e di tutto ciò che ne concerne. Una presa di posizione forte, dunque, ma che porta con sé molti punti interrogativi e tanti dubbi. Innanzitutto, cosa ha spinto il vescovo della diocesi calabrese ad inviare tale richiesta a Papa Bergoglio?
Sicuramente, una prima motivazione la si può trovare nella spinta data dal pontefice proprio qualche settimana fa. Una spinta che probabilmente è più di tipo psicologico e mediatico, ma che forse, a differenza del passato, sembra incarnare una intenzione concreta, reale di cambiare le cose, di dare una svolta ad una situazione (specialmente in certe parti del Sud) davvero critica.
Un altro punto interrogativo è il seguente: siamo certi che una scelta del genere possa influenzare negativamente gli ambienti mafiosi o addirittura indebolirli? Effettivamente l’idea che la mafia faccia ancora uso dei battesimi e delle cresime per stringere legami tra famiglie diverse stride con la realtà moderna e il mondo attuale, ma soprattutto con la “nuova” mafia, un’associazione che, come risaputo, comincia ad assumere connotati meno tradizionali, anche se è indubbiamente vero che certi riti non sono mai cambiati. Tali pratiche, infatti, sono ancora molto diffuse, soprattutto in Calabria e in Campania. Ecco, dunque, che la scelta del vescovo non è soltanto una semplice provocazione, ma forse qualcosa di più forte, più incisivo. Un qualcosa che solo un uomo del luogo conosce bene e sa decifrare e analizzare.
Altro punto (ma questo, in realtà, è di tipo religioso) che fa dubitare della scelta del vescovo è l’abolizione dei padrini per tutti i credenti. Perché tutti? Perché impedire ad ogni credente, anche in Calabria, di mantenere intatta la figura del padrino? A questo, il monsignor Morosini ha risposto affermando che si tratta di una pratica arcaica e che i padrini “non sono più guide spirituali”. Agli esperti di questioni religiose il compito di valutare tali affermazioni.
Comunque, quel che importa davvero e che deve far riflettere è la presenza di un movimento interno alla Chiesa che cerca di cambiarla in meglio e di aprirsi, una volta per tutte, alla realtà del mondo e della società di oggi. Forse è proprio questo movimento l’elemento essenziale e sorprendente, un evento probabilmente epocale e che non deve sfuggire a nessuno. A maggior ragione, bisogna ricordare che in questi ultimi mesi, oltre al Papa e al vescovo reggino, tante sono state le dichiarazioni e le prese di posizione da parte di numerosi ecclesiasti nei confronti della criminalità organizzata: il vescovo della diocesi di Mazara del Vallo, Domenico Mogavero, ha affermato che ci sono “stati molti parroci a chiedermi di semplificare i riti per due motivi: i padrini non adempiono all’ufficio di accompagnatori dei figliocci e sono figure equivoche che è meglio rimuovere”.
Nunzio Galantino, vescovo di Cassano allo Ionio (CS), ha ribadito con forza il suo “basta” ai sacramenti per i boss: “i sacerdoti non possono più fingere di non sapere”. Infine, come non citare il gesto di monsignor Franco Alfano, vescovo di Castellammare di Stabia (NA) che, durante la festa locale di San Catello, ha impedito che il busto del santo si inchinasse davanti alla dimora del boss Renato Raffone.
Piccoli gesti, piccoli passi verso una presa di coscienza che non è ancora salda nelle menti e nello spirito della gente di Chiesa (e non solo) e che probabilmente impiegherà ancora molto tempo. Chissà, però, che quest’ultima proposta del vescovo reggino non riesca a scalfire certe tradizioni importanti nel panorama mafioso.
Intanto, Papa Francesco è stato avvisato e ha chiesto ai vescovi calabresi di riunirsi e decidere: forse qualcosa si muove.
Giovambattista Dato -ilmegafono.org
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