È uscito il 22 ottobre il secondo album de I cani. Quelli che “i pariolini di 18 anni”, che “i nati nell’89”, che “smetterei di pippare se solamente avessi iniziato, sarebbe una bella spesa in meno e davvero un bel gesto”. Ma scordatevi i testi graffianti e il synth totalizzante del primo album. Il secondo, “Glamour”, non è una scarica di frasi pungenti e di elettronica. C’è molto di più. A partire dall’introduzione alla tastiera, più ermetica e meno diretta. Come Vera Nabokov sembra un pezzo scritto da Julian Casablancas, finché l’elettronica non ricompare e siamo davanti ai Cani evoluti.
“Ricordo che mi hai promesso di andare in giro con la pistola per difendermi e di tagliarmi la carne e farmi addormentare come tre o quattro anni fa” è una storia d’amore strana con una donna al fianco di un uomo per proteggerlo, è proprio come la moglie del famoso scrittore che girava davvero con una pistola e guidava la macchina portandolo in giro. Corso Trieste è una storia serale elettronica e metropolitana. Quasi una ninna nanna per bambini adulti. “Padri stanchi tornano a casa dal lavoro in moto. È quasi buio soltanto luci verdi e rosse ed arancioni e gialle. E sotto gli alberi non fanno luce neanche quelle”.
Il singolo è Non c’è niente di twee (traducibile con sdolcinato), osservazione intimista del mondo in cui attualità e politica non potrebbero essere più lontane. “E quanto disoneste possono essere le parole, per infestare il mondo di sentimenti, per dire il falso, per non dire niente, per non dire quanto disoneste sono le fotografie in cui siamo: bellissimi e perdenti”. Storia di un impiegato, col ritmo più trascinante dell’album, contiene una citazione musicalmente dotta di Gennaio dei Diaframma. Un aggiornamento dell’universo balordo e maledetto di De Andrè: “In corridoio mi blocco un attimo ed ho paura e mi aggrappo al muro e grazie a Dio non mi ha visto nessuno, grazie a Dio non mi ha visto nessuno. Ma in fondo è del tutto normale, dormi poco e mangi male, passerà anche questa”.
Storia di un artista è a metà tra la presa per il culo della voglia di anticonformismo e il ripudio degli schemi mentali preimpostati e descrive il lato artistico o finto tale di questa generazione. Bellissima la più poetica San Lorenzo, contemplazione disincantata dello spazio, nel giorno di San Lorenzo appunto. Interessante la frase “ma per una notte ogni 10 agosto noi lanciamo ogni sorta di richieste a dei meteoriti ignari, escludiamo il cielo concentrandoci sui fatti nostri, invece di pensare a quanto poco siamo rilevanti”, introdotta da una cadenza che ricorda il Battiato di Tutto l’Universo obbedisce all’amore.
Ancora più intimista è FBYC (Sfortuna), testo forse ispirato alla vita di un cantante o personaggio più o meno pubblico, su un pezzo tra il punk e l’elettronico. Lexotan si regge su un attacco di basso per poi movimentarsi sul ritornello: “No, non avrò bisogno delle medicine, degli psicofarmaci, del lexotan, dei rimedi in casa, della valeriana, della psicanalista junghiana”.
Questo album si presenta con uno stile diverso, con ritornelli e costruzione delle tracce più ragionata e meno vomitata sulla cassa. Forse è il tempo della maturità per I cani, un gruppo dalle ottime prospettive che però sa anche restare a osservare. I loro occhi, le loro parole sono i mille pensieri che passano sui social network. Sarcasmo, serietà, leggerezza e profondità, ossimori che si mischiano nelle vite ma soprattutto nella quotidianità. Sanno guardare, capire, raccontare. Una sorta di realismo del nuovo millennio, aderente al reale e critico verso esso.
Penna Bianca -ilmegafono.org
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