L’anno “vecchio” volge al termine e, come cantava Lucio Dalla sul finire degli anni ‘70, “ancora qualcosa qui non va. Si esce poco la sera compreso quando è festa. E c’è chi ha messo dei sacchi di sabbia, davanti alla finestra”. Sono parole che per molti di noi hanno ancora un significato, anche se le circostanze non sono esattamente le stesse degli “Anni di Piombo”. Siamo intrappolati in un lungo periodo di crisi, che naturalmente non è iniziato a gennaio del 2012 e ovviamente non finirà il 31 dicembre prossimo. È una crisi non solo economica e non solo dell’Italia, ma è la crisi sociale e morale di un intero sistema, quello capitalistico occidentale, arrivato ormai al capolinea con tutte le sue contraddizioni.
Il 2012 è stato l’anno della recessione internazionale, del crollo dei consumi, della disoccupazione giovanile, dei tagli al welfare, dell’aumento delle tasse. È stato l’anno della crisi dei partiti italiani, la notte della Seconda Repubblica e il crepuscolo di un sistema politico costruito sotto i riflettori della televisione. È stato senza dubbio per l’Italia “l’anno degli scandali”: se prima del governo Monti era l’ex Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi il protagonista dello “scandalo politico” italiano, nel 2012 è stata la sua folla di cortigiani, e non solo questa, ad occupare le prime pagine dei giornali con le sue ruberie e le sue meschinità.
Prima la Margherita, con il senatore Lusi che avrebbe sottratto 13 milioni di euro al partito, poi la Lega Nord, con i suoi vertici accusati di aver trafugato milioni di euro di denari pubblici, la Regione Lazio, con le sue feste decadenti in maschera, e infine la Regione Lombardia, con i rimborsi spese ingiustificati e gli amministratori locali saldamente attaccati alla poltrona. Gli esempi della corruzione e del malcostume che pervadono ogni strato della società e del potere in Italia sono stati tanti quest’anno, ma è sufficiente accennare ai casi più eclatanti per avere l’immagine di un Paese arrivato al suo “D-day”, dove le bestie sopravvissute si avventano affamate sugli ultimi pezzi di carne rimasti.
E allora “si esce poco la sera e si mettono i sacchi di sabbia davanti alla finestra” per non guardare la realtà in faccia, ma solo attraverso lo schermo piatto di una televisione. E forse anche perché non si ha la possibilità “economica” di consumare. Mentre una ristretta élite di rappresentanti politici e del mondo finanziario si spartisce il resto del bottino, infatti, il reddito disponibile delle famiglie italiane, così come quello di molte altre famiglie in diverse parti del globo, si riduce drasticamente.
Nel 2012, solo nel nostro Paese è diminuito di oltre il 3,5 per cento rispetto all’anno scorso, un dato che, secondo le stime dell’Associazione bancaria italiana (Abi), non era così negativo dal 1993. I consumi sono crollati e il nostro Pil è “in caduta libera”: per il 2012 è stato confermato al -2,1 per cento. La disoccupazione giovanile, frutto di politiche del lavoro e dell’istruzione poco lungimiranti, ha toccato picchi del 36% nell’intero territorio nazionale e del 49,20% nel Sud.
“Ma la televisione ha detto che il nuovo anno porterà una trasformazione e tutti quanti stiamo già aspettando”, cantava ancora Lucio Dalla nel 1979, nella speranza che il decennio successivo avrebbe interrotto la spirale di violenza degli anni precedenti. E “anche noi aspettiamo” con fiducia e forse con qualche briciolo di speranza il 2013. Per chi vuole vederle, le premesse per un cambiamento ci sono, come sempre nei momenti di difficoltà: il 2012 infatti non è stato solo l’anno della crisi, ma anche l’anno della resa dei conti, soprattutto in Italia, dove il consenso di una classe dirigente riunitasi intorno ai suoi totem si è sciolto come neve al sole.
Lo sgretolamento del sistema politico così come lo abbiamo conosciuto negli ultimi vent’anni e l’emergere di movimenti popolari, seppure con le loro demagogie, non sono necessariamente un segnale negativo. Un risveglio delle coscienze dal basso non è mai un segnale negativo, perché chi esercita il proprio lavoro tutti i giorni a contatto con i problemi quotidiani delle famiglie e degli altri lavoratori, è più in grado di comprenderne e valutarne le necessità. La crescita di una classe politica meno boriosa e più vicina e attenta alle esigenze della popolazione non può che fare bene a un Paese come l’Italia, dove i “troppo furbi” e “i cretini di ogni età”, come direbbe Dalla, non vogliono lasciare spazio al rinnovamento.
G. L. –ilmegafono.org
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