Nel descrivere ciò che è accaduto nel 2012 nell’ambito della legalità e della lotta al crimine organizzato, non possiamo non partire dalla trattativa Stato-mafia e da tutti gli sviluppi che essa ha conosciuto venti anni dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio. La lunga attività di inchiesta è giunta a un punto di svolta in questi mesi, avvicinandosi sempre di più alla verità e scatenando, per tale ragione, la dura reazione degli inquilini del potere. Reazione prevista e prevedibile. È accaduto di tutto: spiccano indubbiamente il caso delle intercettazioni tra Nicola Mancino, ex ministro dell’Interno, e Loris D’Ambrosio, consigliere del presidente Napolitano, con la successiva e improvvisa scomparsa dello stesso D’Ambrosio e le attese e immancabili polemiche; il clamoroso conflitto istituzionale sollevato dal Capo dello Stato (e deciso a suo favore dalla Consulta) nei confronti di una magistratura che ha semplicemente operato secondo le regole; infine, la scelta di Antonio Ingroia di lasciare l’Italia e la procura di Palermo per andare in Guatemala a ricoprire, per conto dell’Onu, un incarico investigativo contro il narcotraffico.

Una decisione necessaria per tirarsi fuori dal fuoco incrociato a cui lui e i suoi colleghi della procura palermitana sono stati sottoposti dal mondo politico e anche da parti dello stesso mondo giudiziario. Forse era l’unica maniera di far calare per un po’ i riflettori sui magistrati che conducono l’indagine, una delle più complesse e delicate nella storia repubblicana. Il lavoro delle procure, nonostante gli ostacoli, prosegue e ci auguriamo che presto, magari proprio nel 2013, possa portare a delle conclusioni definitive, ad un punto oltre il quale ci siano soltanto responsabilità chiarite e dimostrate e ci sia soprattutto la restituzione, alla parte del Paese che non si è arresa, di quella verità e quella giustizia che i parenti delle vittime e le associazioni rivendicano da anni. Il pensiero non può che andare a Salvatore Borsellino, che non smette mai di raccontare, denunciare, manifestare un senso di urgenza che è diffuso in chi non riesce a tollerare l’idea che lo Stato abbia trattato, sacrificando i suoi figli migliori, mandandoli a morte e mostrandogli segretamente il pollice verso della correità.

Salvatore recrimina, denuncia: lo fa e lo ha fatto contro tutto e tutti, insieme alle Agende Rosse, subendo anche gli insulti, le volgari battute sulla sua non lucidità mentale, stessa squallida insinuazione mossa ai danni di sua cognata Agnese, moglie del giudice ucciso in via D’Amelio. E invece, non solo le inchieste, ma soprattutto le reazioni alle inchieste, le paure di Mancino e di altri tirati in ballo dalle procure, dimostrano che Salvatore e Agnese hanno ragione e meritano rispetto. Come rispetto merita la sezione Catturandi di Palermo, storico reparto che ha stanato i boss di mafia e che oggi è sulle tracce di Matteo Messina Denaro, il capo dei capi di Cosa nostra. Lo smantellamento a cui la Catturandi pare avviata è una resa dello Stato, la rinuncia ad uno dei mezzi più potenti di lotta ai clan. Un’operazione che, se attuata concretamente, si potrebbe spiegare solo con un interesse specifico da parte di qualcuno a fermare la cattura del numero 1 della mafia.

In questo anno, però, c’è stata anche la conclusione della battaglia di Telejato, una battaglia a cui abbiamo partecipato attivamente e che per fortuna è stata vinta. Il 2012 è stato anche l’anno degli scandali che hanno abbattuto poteri forti come quelli che governavano Lazio e Lombardia, dove vizi e infiltrazioni hanno tolto la maschera a sistemi dal volto “celeste” e dallo stomaco grigio e marcio. Anche in Sicilia, abbiamo assistito alla fine del governo Lombardo e alla sconfitta del centro-destra, con la vittoria di Rosario Crocetta e di un’alleanza di centro-sinistra.

Poi, ci sono stati il ritrovamento dei resti e i funerali di Stato (dopo 64 anni) di Placido Rizzotto, l’ennesima sfilza di omicidi di donne (i cosiddetti femminicidi) rispetto a cui le istituzioni tacciono, e la nuova e recente offensiva della camorra a Napoli, con l’assassinio di un innocente e gli omicidi di affiliati, nell’ambito di una guerra che sembra aver ripreso crudele intensità e costanza. È stato anche l’anno delle celebrazioni, della memoria, del ventennale delle stragi del 1992, funestato dall’attentato di Brindisi su cui ancora rimangono numerosi punti oscuri, e del trentennale dell’assassinio di Pio La Torre e di Carlo Alberto Dalla Chiesa, personaggi di cui oggi ci sarebbe un gran bisogno.

Infine, è stato l’ennesimo anno nero per le carceri italiane, dentro le quali si vive al di fuori del territorio che è proprio del diritto e della civiltà. Condizioni terribili, perdita di ogni dimensione umana, suicidi, un problema che nessun governo mostra di sapere e volere risolvere. Per questo vogliamo chiudere il ricordo del 2012 e aprire le mani al 2013 dando la nostra piena solidarietà al gesto rivoluzionario e “umano”, nell’accezione più elevata del termine (attinente alla dignità e all’amore per l’individuo che la contiene), di Marco Pannella, pioniere della battaglia per i diritti civili in questo Paese.

Pannella ha scelto di mettersi in gioco, di rischiare la vita per amore della dignità degli uomini, di quelli di cui a pochi interessa, perché socialmente bollati come “reietti”, “scarti”, “rifiuti” e quindi abbandonati senza troppe remore nell’immondizia di Stato, chiamata a contenere in qualsiasi modo la loro via di espiazione. A lui e a questo suo spirito così eroicamente radicale e umano vogliamo associare l’augurio di un 2013 in cui la dignità, la verità e la giustizia prendano il posto del malaffare, della sopraffazione, della violenza, della menzogna e dell’indifferenza.

 Massimiliano Perna –ilmegafono.org